Padoan all'Ue: dai tagli alla spesa vantaggi anche sulla riduzione del cuneo fiscale
Rilancio di crescita e occupazione i veri obiettivi in Europa grazie al rispetto degli
obblighi. Così ieri a Bruxelles, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che
oggi parteciperà all’Ecofin. Padoan sottolinea che il governo intende implementare
i percorsi di ricerca fondi specie dai tagli alla spesa- da cui dipenderà anche la
riduzionedel cuneo fiscale- e annuncia un nuovo strumento legislativo relativo al
pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione
Ma sul fronte fiscale
l’attenzione è tutta per il Consiglio dei ministri di domani: dal premier Renzi si
attende un taglio delle tasse di 10 miliardi di euro. Debora Donnini ha sentito
Stefano Zamagni, professore di Economia all’Università di Bologna:
R. – Il taglio
del cuneo fiscale e in parte dell’Irap va nella direzione giusta. Dobbiamo, però,
sempre ricordarci che si tratta di misure emergenziali, cioè a breve termine. Quello
di cui soffre il “sistema Italia” nel suo complesso è un calo veramente pericoloso
di produttività e, soprattutto, del tasso di imprenditorialità. Ho motivo di ritenere
che Renzi faccia questo nell’immediato, non penso voglia terminare il suo progetto
di trasformazione dell’economia italiana solo con queste misure.
D. – La Commissione
Europea, la scorsa settimana, ha lanciato un richiamo all’Italia: ha chiesto che l’Italia
agisca in modo urgente per mettere mano al debito pubblico molto elevato e alla debole
competitività. Questo è un tema che negli anni passati è stato toccato poco?
R.
– Non è che sia il debito pubblico in assoluto ad aumentare, perché aumenta in relazione
al Pil: se questo è calante o è stagnante, è ovvio che quel rapporto aumenta. Quindi,
bisogna agire sul Pil, cioè bisogna far partire tutta una serie di iniziative che
sono possibili per aumentare il tasso di partecipazione lavorativa. Come? Primo, pluralizzando
il mercato delle imprese. Non si può pensare di andare avanti solo con le imprese
di tipo capitalistico. Questo è l’errore che molti continuano a fare. Ci sono imprese
non capitalistiche, che si chiamano “cooperative sociali”, “imprese sociali”, che
essendo caratterizzate da tecnologie ad alta intensità di lavoro sono in grado di
assorbire occupazione nel giro di breve termine. Noi però ci ostiniamo a pensare che
tutti coloro che cercano lavoro debbano essere inseriti dentro le imprese capitalistiche,
quelle che per intenderci devono vedersela sui mercati globali con i competitors
comeCina, India, Brasile e così via. Questo è un errore gravissimo. Con
alcuni provvedimenti – ne basterebbero pochi – si potrebbero immediatamente creare
posti di lavoro, agendo sulle imprese sociali, come l’Europa ci sta dicendo. Secondo:
è quello che riguarda il problema della cosiddetta armonizzazione tra i tempi di lavoro
e i tempi di vita familiare. Noi, infatti, vogliamo che le donne lavorino, ma che
la famiglia non ne risenta in maniera distruttiva. Si chiama armonizzazione il mettere
d’accordo i due obiettivi, non conciliazione, perché con la conciliazione noi chiediamo
alla famiglia, in particolare alle donne, di adeguarsi alle esigenze delle imprese.
Loro, quindi, si adeguano, fanno anche carriera, ma la famiglia si distrugge.
D.
– I dati Istat, resi noti oggi, sull’indice della produzione industriale dicono che
a gennaio è aumentata dell’1% rispetto al mese precedente, e dell’1,4% rispetto a
gennaio 2013. Secondo lei, è un segnale positivo?
R. – Che il sistema industriale
italiano abbia un nucleo anche piuttosto grosso di imprese che vanno per la maggiore,
lo sappiamo da tempo. Basti pensare alle imprese del comparto del distretto industriale
dell’Emilia Romagna e così via, che sono all’avanguardia a livello europeo. Il punto
non è quello, il punto si chiama “jobless grow”, che vuol dire “crescita senza occupazione”.
Il fatto che aumenti la produzione industriale dell’1,4 rispetto all’anno scorso non
ci assicura che aumentino nella stessa proporzione anche i posti di lavoro. Le nuove
tecnologie, i nuovi processi produttivi resi possibili dalla terza rivoluzione industriale,
consentono di aumentare i livelli produttivi anche senza aumentare nella stessa misura
i livelli occupazionali. E noi abbiamo bisogno invece di dare lavoro a tutti, perché
tutti devono poter lavorare.