Memoria di San Giovanni di Dio: intervista con Fra Marco Fabello
La Chiesa fa memoria oggi di San Giovanni di Dio, riconosciuto come il creatore del
moderno concetto di ospedale. Ma come tutti i Santi, il merito del fondatore dei Fatebenefratelli
è stato quello di aver introdotto in un contesto particolare – quello della malattia
e della sua cura – lo stile della carità cristiana, umanizzando il modo di essere
accanto all’infermo, alla sua fragilità. Al microfono di Alessandro De Carolis,
Fra Marco Fabello, dell’Ordine dei Fatebenefratelli, spiega la portata di questa
rivoluzione portata 400 anni fa da San Giovanni di Dio:
R. - San Giovanni
di Dio - che per primo mette i malati in una struttura, divide una struttura secondo
le varie patologie creando i reparti ospedalieri - organizza la sanità in modo molto
moderno: da una situazione molto confusa e molto poco igienica, viene a crearsi una
realtà che favorisce la salute dal basso.
D. - Quindi questo è il senso della
sua modernità?
R. - Questa è la parte esteriore della sua modernità. Il fatto
più importante è l’approccio che lui ha verso il malato, un approccio di grande umanità
e personalizzato. Forse proprio questo è l’aspetto più importante e che viene messo
meno in evidenza.
D. – “Fate bene fratelli a voi stessi per amore di Dio”.
Come viene vissuto, oggi, nelle strutture ospedaliere del vostro ordine il motto di
San Giovanni di Dio?
R. - Questo motto nasce soprattutto nel momento di chiedere
l’elemosina. Quando lui gira per le strade di Granada, mette le persone in condizione
di far bene a sé stesse, perché fare l’elemosina è come una sorta di perdono dei peccati.
Quindi fa fare un’opera buona alle persone verso sé stesse. Dopo di che, invece, da
un altro punto di vista come mettere in atto questo motto “Fate bene fratelli” oggi?
Credo che si rivolga in modo principale alle strutture sanitarie e assistenziali affinché
diventino dei luoghi in cui il malato possa trovarsi come a casa propria. Allora è
un’umanizzazione totale, un’attenzione totale al malato, alla sua famiglia e al territorio
da cui deriva.
D. - Parlando di motti, il vostro superiore generale ha indicato,
per i vari Capitoli generali che stanno rinnovando in questi mesi il volto dell’ordine,
questo slogan: ”Vivere l’accoglienza con speranza ed audacia”. Perché questi due termini?
R.
- La speranza perché è un tempo in cui dobbiamo avere non tanto la speranza banale,
ma la speranza nella Provvidenza, in Dio, la speranza come virtù cristiana. È un momento
difficile per la sanità, quindi è difficile anche per le nostre strutture, per le
nostre opere. Poi l’audacia: perché senza coraggio oggi non si va avanti. E questo
bisogna impararlo dai nostri santi, in particolare da San Giovanni di Dio, ma anche
da San Benedetto Menni, che hanno avuto la grande audacia di fare cose mai viste fino
ad allora. E quindi noi oggi dobbiamo essere capaci in modo apostolico di ripetere
questi gesti nella realtà in cui viviamo, avendo il coraggio e l’audacia di fare cose
che per il mondo di oggi sono un grande interrogativo. La domanda però che ci facciamo
è questa: siamo in grado di avere tutta questa audacia? E questo è il compito che
i Capitoli provinciali stanno cercando di risolvere, proprio perché, se non abbiamo
quest’audacia, oggi il rischio è che la nostra azione apostolica, la nostra azione
profetica non abbiano più quel senso che San Giovanni di Dio vorrebbe avesse.
D.
- Il Capitolo della provincia lombardo–veneta si è svolto con una particolarità: la
presenza dei laici. È - per così dire - una nuova frontiera che state vivendo?
R.
- San Giovanni di Dio, quando ha cominciato la sua opera, era un cristiano e basta:
non era un religioso, non era nessuno. Solo dopo è stato dichiarato religioso. Quindi
quello dei laici non è altro che un reingresso nell’ordine visto che il limite è stato
proprio questo. E poi c’è l’invito della Chiesa nel lasciare ai laici i compiti gestionali,
amministrativi, affinché i religiosi possano assumere funzioni più proprie, ovvero
l’animazione e l’umanizzazione, che sono l’accompagnamento spirituale delle persone.
D. - E questo, in qualche modo, è anche in sintonia con ciò che spesso ricorda
Papa Francesco ai sacerdoti …
R. - Ed è questo! Papa Francesco sta cambiando
il volto di tante situazioni. Tutti dobbiamo essere capaci di cambiare anche il nostro
volto rispetto al suo insegnamento che è un insegnamento davvero profetico! E credo
che poi sia un po’ il condimento essenziale, quello che dà più sapore oggi, alle nostre
azioni.