Al maestro Muti la "Medaglia d'oro alla cultura italiana in Argentina"
Nei giorni scorsi, il maestro Riccardo Muti è stato insignito a Roma della “Medaglia
d’oro alla cultura italiana in Argentina” per aver contribuito a diffondere “l’eccellenza
culturale italiana nel Paese sudamericano”. Un riconoscimento che è anche impegno
per valorizzare il grande patrimonio artistico che l’Italia offre. Al microfono di
Patricia Ynestroza, il maestro Riccardo Muti si sofferma su uno dei
più grandi teatri argentini:
R. - Il Teatro
Colón di Buenos Aires, uno dei teatri più grandi del mondo, è fiero della sua italianità:
non solo perché nella costruzione del teatro ci sono state maestranze italiane ma
perché c’è una storia portata dagli artisti italiani. Tant’è vero che la prima volta
che sono stato lì, vedendo sui muri i nomi dei direttori di orchestra e dei cantanti
italiani, ho improvvisamente sentito forte la presenza del mio Paese e questo mi ha
reso orgoglioso. Noi dobbiamo fare molto; diciamo sempre che la cultura unisce i popoli...
Ed è vero! Nei viaggi dell’amicizia che faccio ormai da tanti anni, quando porto l’orchestra
ed il coro italiani in un altro Paese ed invito i musicisti dell’altro Paese ad unirsi
a noi – musicisti che parlano molto spesso lingue diverse, appartengono a religioni
diverse, hanno colore della pelle diverso – si siedono vicino ai nostri musicisti
e “respirano” improvvisamente lo stesso sentimento, la stessa passione, lo stesso
modo di esprimersi. Ciò che la parola non può fare, la musica crea. Dobbiamo però
ricordare che la storia della musica italiana non è solamente Verdi, Puccini e Mascagni
ma è quella di un Paese che ha creato il Teatro dell’Opera, la stessa opera, la Camerata
di Bardi. Ha inventato molte forme musicali, come il “Concerto Grosso” di Arcangelo
Corelli. Poi ci sono Palestrina, Monteverdi...; l’Italia ha anche creato gli strumenti;
Guido da Arezzo ha dato il nome alle note; poi gli strumenti di Stradivari, Amati,
Guarnieri, Guadagnini che tutto il mondo ci invidia e paga milioni e milioni di euro
per averne uno. Abbiamo fatto tutto questo ma ce ne siamo scordati. Se vogliamo recuperare
tutto questo, allora abbiamo bisogno di una guida importante che venga da chi ci governa.
D. – Questo premio, uno dei tanti che lei ha ricevuto, cosa significa?
R.
– Il primo significato è nel premio stesso: ogni premio ha un suo fascino ed una sua
importanza. Questo, poi, viene da un Paese che ammiro molto e che ho visitato tante
volte con l’Orchestra di Philadelphia quando ero direttore; con l’Orchestra della
Scala e ultimamente al Colón di Buenos Aires ho portato un’opera di Mercadante – della
grande scuola napoletana – e “I due Figaro”. I critici l'hanno considerata come la
migliore esecuzione. Quindi, questo rapporto culturale tra l’Italia e l’Argentina,
che viene concretizzato con questo premio, è per me motivo di grande soddisfazione
e grande orgoglio; soprattutto di una bene augurante apertura in futuro tra l’Italia
e l’Argentina stessa.
D. – Lei ha fatto molte cose nella sua carriera, cosa
le manca ancora?
R. – Tutto! Quello che facciamo noi nella vita è solo un centesimo
di quello che potremmo fare. La storia della musica nei secoli è piena di compositori,
di partiture e ci vorrebbero cento vite per poter avvicinarsi a tutto questo. L’unica
cosa che si può fare è cercare – piuttosto che fare concerti per il proprio successo
personale, perché quello alla mia età o è già avvenuto o non è avvenuto affatto –
di dedicarsi di più perché la musica migliori la società ed i rapporti tra i vari
Paesi.