Svizzera: dalla Plenaria dei vescovi un appello per la pace in Ucraina
“Pace per l’Ucraina”: si intitola così il comunicato finale diffuso dalla Conferenza
episcopale svizzera (Ces), a conclusione dell’Assemblea plenaria svoltasi a Friburgo
dal 3 al 5 marzo. “Le sofferenze e le speranze degli abitanti di questo Paese”, si
legge nel documento, sono state al centro della riflessione dei presuli grazie alla
presenza, nel corso dei lavori, del vescovo greco-cattolico di Ucraina, Borys Gudziak.
Testimone oculare degli scontri di piazza Maidan a Kiev, mons. Gudziak ha
sottolineato che tali manifestazioni del popolo vogliono “difendere dei principi morali
e non interessi di parte”, rilanciando “una cultura della dignità al posto di una
cultura della paura”. Quindi, mons. Gudziak ha ricordato l’impegno della Chiesa e
delle comunità religiose affinché non si ricorra alla violenza ed ha evidenziato come
“ogni notte si tenga un incontro ecumenico coordinato dal Consiglio ucraino delle
Chiese e da alcune organizzazioni religiose”.
Quattro, infine, i punti sottolineati
dal presule greco-cattolico per stabilizzare la situazione a Kiev: il governo deve
ascoltare la popolazione; manifestanti e istituzioni devono evitare qualsiasi forma
di violenza; non bisogna esortare alla scissione del Paese; è necessario ricorrere
al dialogo. Di qui, il conseguente appello dei vescovi svizzeri: “Sull’esempio di
Papa Francesco – scrivono – esortiamo tutti gli uomini di buona volontà a pregare
per la pace in Ucraina e a sostenere tutte le iniziative che mirano ad incoraggiare
il dialogo e la rinuncia alla violenza”.
Tra gli altri temi affrontati dalla
Plenaria, anche la questione della diocesi di Coira, guidata da mons. Vitus Huonder,
criticato per le sue posizioni conservatrici. “La Ces non ha alcun diritto sulle diocesi
e sui vescovi", precisa la nota episcopale. Dal suo canto, il presidente della Ces,
mons. Markus Büchel, leggerà la lettere dei partecipanti ad una manifestazione di
protesta in programma il 9 marzo a St-Gall e la trasmetterà agli organi competenti”.
E ancora: i presuli elvetici hanno stabilito di creare “un gruppo di lavoro sulla
questione del ‘genere’, con il compito di redigere una nota pastorale”, e di organizzare
una raccolta fondi per “le vittime di misure di coercizione ai fini di assistenza”.
Contestualmente alla Plenaria, la Ces ha diffuso anche una Lettera pastorale
per la Quaresima, intitolata “Uniti nella fede della Chiesa”. Guardando ai cinquant’anni
del Concilio Vaticano II, appena celebrati con l’Anno della fede, i presuli sottolineano
che “essere cristiani non significa rivendicare le proprie idee, ma accettare con
riconoscenza che è Dio che viene a noi”. Per questo, continua la Lettera, la Chiesa,
la sua fede ed i suoi sacramenti “non sono un’opera umana, ma qualcosa che noi riceviamo
da Dio”. Anzi: “La Chiesa è un sacramento – aggiunge la Ces – ed il suo obiettivo
è l’unità di Dio e degli uomini”.
Richiamando, poi, quanto detto in più occasioni
da Papa Francesco, i presuli svizzeri sottolineano che “la Chiesa non è una Ong o
una multinazionale, non è guidata da un direttore generale, né si può adattare alle
circostanze del mercato”. I cambiamenti che la riguardano, quindi, “non possono toccare
la fede o la struttura fondamentale, come i sacramenti”, bensì devono partire “soprattutto
dalla preghiera ed avere inizio dalla conversione”, che “si compie nella fede”. “Vivere
e testimoniare questa fede”, dunque, è il primo dovere del cristiano, così come indicato
dal Concilio Vaticano II. (A cura di Isabella Piro)