L'Oscar per 'La grande bellezza' : provocazione per ritrovare la verità
"Chi ha visto il
film non ha potuto non apprezzare le immagini di questi antichi palazzi romani spalancati
sulla città, sulle vie del centro storico, sulle rive del Tevere e immersi nei chiaroscuri
notturni che caratterizzano, non a caso, gran parte delle riprese. Ma l'opera di Sorrentino
va oltre Roma e giunge a rappresentare noi stessi in un'umanità dolente, decadente".Don Ivan Maffeis, direttore dell'Ente dello Spettacolo e della Rivista del Cinematografo,
rilegge 'La grande bellezza' di Paolo Sorrentino, l'opera cinematografica italiana
appena premiata a Hollywood con l'Oscar per il miglior film straniero, quindici anni
dopo 'La vita è bella'. "Il regista napoletano in parte ci ha fotografato. Siamo
un'umanità che vive per certi versi di superficialità, in modo effimero, sopra le
righe. Una società in parte avvelenata, priva di 'vera bellezza', di proposte di vita,
fatta spesso di rapporti balordi, inconsistenti". "Dobbiamo però esser debitori a
Sorrentino - commenta Maffeis - perché il suo film è attraversato da una domanda di
senso, una domanda religiosa che in alcuni momenti si fa esplicita come nel dialogo
con un cardinale distratto, impegnato in conversazioni compiacenti. E' un modo per
tirare giù il velo rispetto a una religiosità che non serve, che è solo apparenza
e in fondo allontana dalla Chiesa, per riconsegnarci a una domanda più profonda. In
fondo 'La grande bellezza' ci presenta un paese che ha bisogno di altro, di gente
migliore di quella rappresentata sullo schermo. Non parlerei perciò affatto di un
film anticlericale, ma piuttosto di una pellicola che con il linguaggio della provocazione
ci riporta alla verità". "E' un film ampio, complesso e anche molto difficile
da leggere con gli strumenti abituali dello spettatore che sono quelli narrativi.
Per questo è risultato difficile e sgradito al pubblico", commenta Elena Mosconi,
storica del cinema e docente all'Università di Pavia e alla Cattolica di Milano.
"E' un film che si apprezza proprio nella sua capacità di rappresentare, con le immagini
e le musiche, un universo ricco di contraddizioni e contrasti tra l'alto e il basso.
Proprio in questa cifra sta la proposta di Sorrentino che non è quella di una conciliazione,
del ritrovamento di un significato univoco della realtà. La grande bellezza - ci
dice il regista - non esiste. E' una ricerca continua che non dà luogo mai a una pacificazione.
Esistono invece - come intuisce nel finale il protagonista Jep Gambardella - degli
'sparuti incostanti sprazzi di bellezza'. Sprazzi che si celano anche dietro il
mostruoso, il caricaturale e il grottesco e che il regista napoletano sa restituire
molto bene con la sua estetica post-moderna del frammento, della sensazione momentanea".
"Mi auguro che, come molti auspicano - conclude la studiosa di cinema - questo
Oscar faccia bene al cinema italiano. Ma purtroppo le premesse non ci sono, visti
i tempi attuali. Abbiamo artisti bravissimi ma condizioni produttive difficili che
non possono cambiare dall'oggi al domani. Credo però che lanci una sfida importante
all'educazione del pubblico italiano che può osare qualcosa di più e appassionarsi,
oltre che alle commedie, anche a un'opera complessa come questa di Sorrentino. Questo
Jep Gambardella, che gira inquieto per la città, potrebbe aiutare lo spettatore e
guardare la realtà e il cinema in modo diverso". (a cura di Fabio Colagrande)