L'impegno della comunità internazionale per stabilizzare la Libia
La Libia continua a vivere momenti di forte destabilizzazione. A Bengasi, martedì
tre persone sono state assassinate. Intanto, il Ministero della difesa ha sottoscritto
un accordo con la minoranza tuareg per la riapertura di un grande giacimento petrolifero
nel sud, mentre le autorità hanno riabilitato il re Idriss, deposto con un golpe da
Gheddafi nel 1969, restituendo le proprietà agli eredi. Sulla situazione che sta vivendo
la Libia, a tre anni dall’avvio del nuovo corso, Giancarlo La Vella ha intervistato
Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale
(Ispi):
R. – La cosa
più rilevante in questo momento è la situazione di evidente polarizzazione politica,
come è successo altre volte: in Iraq e, dopo la rivoluzione del 1979, in Iran. In
pratica si stanno creando due fazioni politiche, che noi identifichiamo negli islamisti,
ossia la Fratellanza musulmana e vari altri gruppi islamisti, i salafiti, ecc. da
una parte, e dall’altra invece le forze più secolari che appoggiano ancora adesso
il governo di Zeidan. Questo, di fatto, sta bloccando il Paese e sta avvenendo in
una situazione nella quale l’autorità centrale libica non ha ancora il monopolio dell’uso
della forza e le milizie invece detengono il controllo del territorio.
D. –
E’ notizia di questi giorni la riabilitazione di re Idris, che venne deposto da Gheddafi:
sono stati restituiti agli eredi i beni del sovrano. Che segnali è questo, secondo
lei?
R. – E’ un segnale che testimonia quanto la Libia, tutto sommato, sia
ancora senza bussola e abbia bisogno di riferimenti autorevoli, e comunque vorrebbe
dare prospettive nuove di riconciliazione nazionale.
D. – Con quale spirito
si può guardare in questo momento alle vicende libiche?
R. – Certamente, la
Libia è molto importante e lo è ancora di più per l’Europa e per l’Italia in particolare.
E’ un Paese a noi molto vicino a cui siamo stati legati storicamente. Abbiamo vincoli
economici ed energetici molto importanti e abbiamo visto quanto la stabilità di quest’area
sia importante. Tutto sommato, qualche prospettiva di ottimismo ci è data dal fatto
che la Libia non è la Somalia e in questi mesi, nonostante il caos regni e il Paese
sia praticamente senza un vero governo, non è andato completamente allo sbando. E’
un Paese che sta vivendo delle fasi difficilissime di transizione, ma il suo destino
non è ancora segnato e la comunità internazionale può e deve fare molto di più di
quanto sia stato fatto finora e può certamente contribuire, con l’avvio di un processo
di riconciliazione nazionale, con il tentativo dell’Unione Europea e dell’Onu. Certamente,
la strada è molto tortuosa, ma ci sono margini di speranza.