La riforma elettorale approda in aula alla Camera. L'Ue chiede maggiori sforzi
L’Italia ha fatto progressi sui conti pubblici, ma l’aggiustamento strutturale per
il 2014 appare insufficiente. A scriverlo è la Commissione europea nel rapporto su
17 Paesi dell’Unione. Il premier Renzi annuncia un pacchetto di importanti provvedimenti
per la prossima settimana. Intanto la riforma elettorale approda in aula alla Camera.
Il servizio di Giampiero Guadagni:
Misure choc
o sprechiamo la ripresa. Matteo Renzi spinge il piede sull’acceleratore delle riforme:
vanno fatte prima del semestre di presidenza europea, afferma. E dalla Sicilia annuncia
per mercoledì prossimo un pacchetto di provvedimenti: riforma del lavoro, piano casa
e misure per la scuola. Per l’edilizia scolastica, fa sapere intanto, ci sono 2 miliardi
pronti. Il grande sforzo sarà naturalmente per l’occupazione. E’ il momento più difficile
da 30 anni per chi perde il posto di lavoro, osserva il presidente del Consiglio,
che oggi ha parlato del tema con imprenditori ma anche con studenti e insegnanti
siciliani. Ma per il Governo si è anche ufficialmente aperta la partita della nuova
legge elettorale. Montecitorio potrebbe dare il via libera in settimana all’Italicum,
dopo il nuovo accordo con Berlusconi che prevede l’entrata in vigore della riforma
solo alla Camera. Ma Bruxelles chiede a Roma sforzi maggiori per crescita e lavoro.
I progressi fatti non sono sufficienti, scrive la Commissione europea in un rapporto
che pone l'Italia assieme a Croazia e Slovenia tra i Paesi con squilibri eccessivi:
su tutti, debito alto e scarsa competitività.
Al via dunque alla Camera l'esame
della riforma della legge elettorale, da cui è stato stralciato l’art. 2 sulle misure
relative al Senato, in base all’accordo raggiunto ieri sera tra Renzi e Berlusconi.
La nuova normativa avrà dunque validità per i soli Deputati. Da una parte dunque il
varo dell’ Italicum sembra più vicino, dall’altra si afferma il legame tra questo
passaggio e la successiva all’abolizione del Senato. Ma non mancano le perplessità.
Sentiamo al microfono di Adriana Masotti, Paolo Savarese, ordinario
di Filosofia del Diritto all’Università di Teramo:
R. - Le dico
sinceramente che sono molto perplesso e anche un po’ preoccupato, perché il problema
elettorale è connesso all’architettura istituzionale e costituzionale. Per cui, o
si riescono a condurre in maniera organica le riforme, o ci si rende conto che spostare
una pedina su un punto significa dover impostare un disegno adeguato su altri punti,
oppure si fanno dei danni. Un’operazione del genere potrà sopportare positivamente
il vaglio costituzionale? Perché la Corte costituzionale è intervenuta su tutti e
due i sistemi elettorali, ma questo è connesso ad un problema più ampio: quello della
rappresentanza, cioè del rapporto tra elettori ed eletti, un rapporto che deve essere
di fiducia. Per cui, intervenire soltanto parzialmente sul sistema elettorale, senza
affrontare tutto il problema, mi lascia molto perplesso.
D. - Il premier però
ha assicurato che poi si arriverà anche all'abolizione di questo tipo di Senato …
R.
- Mi sembra un po’ come nascondersi dietro ad un dito. Insomma, credo che gli italiani
comincino ad essere un pochino sospettosi di fronte a questo tipo di affermazione.
D.
- Da che cosa nasce, secondo lei, questo sospetto? Che cosa può esserci dietro ad
un accordo di questo tipo?
R. - Non ho idea, possono essere accordi per spartirsi
magari uno 1% alla fine in sede elettorale. Ma io non andrei su questo tipo di discorso.
Però quello che voglio sottolineare è che oggi la classe politica deve rendersi conto
che questo è l’ultimo treno. Questo significa che siamo costretti a fare seriamente
le cose per ridisegnare i meccanismi della rappresentanza, altrimenti la fiducia tra
governanti e governati non si recupererà mai!
D. - Lei dice che bisognava fare
la riforma elettorale contestualmente a quella del Senato?
R. - Certo, contestualmente
alla riforma costituzionale, altrimenti rischia di essere, come dice il Vangelo, “mettere
una pezza nuova su un vestito vecchio”.
D. - Qualcuno dice che con questa scelta
di riferire la legge elettorale solo alla Camera, il Parlamento si assicura la durata
della legislatura, nel senso che comunque non si potrà andare a votare fino a quando
non ci sarà poi anche il completamento delle riforme …
R. - Ma si rende conto
che questo è un argomento di brevissimo respiro? Non ha nulla a che vedere con una
seria volontà di riformare le cose, e soprattutto di riformarle in favore del ripristino
di un rapporto – ripeto – di fiducia tra elettori ed eletti.
D. – Quale sarebbe
stato allora il suo auspicio?
R. – Avrei semplicemente auspicato che non si
fosse posto il problema di disunire il Senato dalla Camera e che si fosse andati o
verso la riforma dell’architettura costituzionale o al voto, chiedendo lì la legittimazione
a modificare la Costituzione: si va al voto e chi vince si prende le responsabilità.
D.
– Le responsabilità delle riforme …
R. – Certo, o l’una o l’altra! Che facciamo?
Tentiamo di fare una mezza riforma e togliamo una ruota alla bicicletta mentre camminiamo?
Come cittadino sono perplesso, per non dire altre cose, perché di fronte alla situazione
del Paese che tutti conosciamo, alle tante sofferenze, alle tante difficoltà, temo
che si continui a ragionare e ad essere prigionieri di piccoli giochi di potere, di
piccole debolezze che cercano di mettersi insieme per ottenere un risultato. Ma così
l’Italia non viene aiutata ad uscire dalla crisi che non è solo economica, ma culturale
e politica.