Il card. Tauran in Benin: identità e ascolto alla base di un dialogo vero
Il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso, ha concluso ieri un viaggio di quattro giorni in Benin, dove è giunto
domenica scorsa. Il porporato ha incontrato i rappresentanti delle commissioni episcopali
nazionali per il dialogo interreligioso nell’Africa dell’Ovest, ma anche rappresentanti
delle religioni tradizionali, molto presenti nel Paese. Olivier Bonnel ha chiesto
al card. Tauran, raggiunto telefonicamente a Cotounou, come il Benin possa essere
modello di coesistenza per i suoi vicini:
R. – Le Benin, c’est un pays qui… Il
Benin è un Paese che non ha mai conosciuto la guerra, e questo è già molto positivo.
I beninesi vivono in una società abbastanza armoniosa, comunque molto sensibile al
dialogo interreligioso. Abbiamo avuto incontri con i rappresentanti delle commissioni
pastorali nazionali per il dialogo interreligioso nella francofona Africa dell’Ovest.
Lunedì siamo stati ricevuti in udienza dal presidente della Repubblica che poi è venuto
ad assistere al mio intervento, nel quale ovviamente ho parlato della libertà religiosa.
Ho ricordato che quattro sono le condizioni perché si possa parlare di un vero dialogo:
bisogna avere una idea chiara della propria religione, andare al di là delle generalità,
utilizzare un linguaggio comune e comprensibile, dare prova di onestà nella presentazione
della propria posizione e volere fare del proprio meglio per comprendere il punto
di vista dell’altro. Mi sembra che il mio messaggio sia stato ben accolto. In seguito,
nel pomeriggio, ci siamo incontrati con i vescovi. Ieri mattina abbiamo incontrato
i capi religiosi delle religioni tradizionali e questo incontro è stato molto importante
perché, in effetti, lo scopo del mio viaggio era giustamente quello di scoprire un
po’ queste religioni tradizionali dell’Africa e restituire all’uomo africano la sua
vera dimensione.
D. - Che avete scoperto di queste religioni tradizionali?
R.
– D’abord, il est très difficile… Innanzitutto è molto difficile comprenderne il
vero contenuto perché c’è un aspetto misterioso e c’è un rito di iniziazione. Ciò
che ho percepito, è che per gli adepti di questa religione, tutta la vita, tutti gli
avvenimenti, sono sovrannaturali. In pratica si è “avvolti” da Dio. C’è forse una
sorta di panteismo, non so. Ad ogni modo, questa è la mia prima impressione: niente
è profano, tutto è sacro.
D. - Sappiamo che il Benin, anche se è un Paese stabile,
vive circondato da Paesi molto meno stabili. Lei ha percepito qualche preoccupazione
nei suoi interlocutori?
R. – No, mais en parlant… No, ma parlando a lungo
con il ministro degli Esteri e il presidente della Repubblica, ho capito che sorvegliano
bene i loro confini.
D. - In cosa il rafforzamento del dialogo interreligioso
è essenziale e necessario per la stabilità, anche politica, di un Paese e in particolare
del Benin?
R. – C’est très simple, on ne peut pas… E’ molto semplice, non
si può essere felici gli uni senza gli altri e certamente non gli uni contro gli altri:
tutto qui. Il dialogo interreligioso che qui esiste mi ha veramente molto ben impressionato.
C’è stato un dibattito molto aperto e leale con i rappresentanti delle religioni tradizionali.
C’è grande stima nei confronti della Chiesa cattolica, e allo stesso tempo la Chiesa
sa farsi vicina agli altri. Credo che la mia visita abbia potuto contribuire a rafforzare
questa filosofia delle relazioni umane.
D. - Questa filosofia positiva, questo
equilibrio beninese, possono essere positivamente contagiosi per i Paesi vicini?
R.
– J’espère, c’est d’ailleurs… Lo spero! Del resto, è quello che ho detto quando
sono arrivato: se il male è contagioso, speriamo che il bene lo è a più forte ragione!