Sacerdote ucciso, fermato il presunto assassino. Intervista con mons. Galantino
E' stato fermato dai carabinieri di Cosenza il presunto autore dell'omicidio di don
Lazzaro Longobardi, il sacerdote ucciso a Cassano allo Ionio. Si tratta di un giovane,
accusato di omicidio ed estorsione. “Ha dato la vita per quei poveri per i quali s’era
sempre speso con tutte le sue energie”: è così che il vescovo della diocesi di Cassano
allo Ionio, mons. Nunzio Galantino, ricorda padre Longobardi. Ascoltiamo mons.
Galantino intervistato da Maura Pellegrini Rhao:
R. – Un
sacerdote di 69 anni: nella prima parte della sua vita sacerdotale, lui era nei Padri
Redentoristi ed era approdato qui, nella nostra terra, in seguito a una missione popolare.
Avendo un po’ visto la situazione delle campagne del nostro territorio, aveva chiesto
di poter continuare questa sua presenza, e quindi si ritrova poi incardinato nella
nostra diocesi proprio per questo desiderio di lavorare nelle campagne, di lavorare
stabilmente in un territorio. Con il tempo, lui poi ha maturato questa attenzione
particolare soprattutto per gli immigrati: difatti, proprio la piana di Sibari segna
la presenza di tanti immigrati. D’altra parte, per quel che riguarda la sua figura,
mi sembra che l’abbiano testimoniata in maniera abbastanza chiara i fedeli per l’atteggiamento
costernato che hanno vissuto e che stanno vivendo, ma anche per la partecipazione
che c’è stata ieri alla Santa Messa che ho celebrato.
D. – Era un uomo sempre
pronto ad aiutare il prossimo: cosa vuole dire a chi, dopo quanto è successo, è portato
a pensare che non convenga mettersi in gioco così?
R. – Finché succedono queste
cose, significa che il nostro impegno è ancora troppo poco, vuol dire che queste persone
sono ancora non la norma. Quando questo stile diventerà veramente il sentire comune,
come ci sta invitando a fare in maniera pressante Papa Francesco, sarà un po’ più
difficile che avvengano questi delitti. Ripeto: proprio il fatto che succedano questi
episodi terribili non significa che dobbiamo smettere, anzi, dobbiamo intensificare
il nostro impegno, vuol dire che c’è bisogno ancora di più di Vangelo, di maggiore
accoglienza, c’è bisogno di far diventare normalità l’accoglienza agli immigrati.
D.
– Di che cosa può essere sintomo un avvenimento del genere?
R. – Che quello
che noi facciamo è ancora troppo, troppo poco e non sempre è supportato anche da altre
realtà che sono chiamate ad affrontare questo problema. Molto spesso, i nostri interventi
sono interventi episodici, sono interventi parziali, sono interventi settoriali. Ma
qui, o si interviene seriamente mettendoci insieme, progettando insieme e davvero
allargando un po’ i nostri orizzonti e comprendendo che questo è non solo un problema,
ma anche una bella risorse per il nostro territorio. Finché non incominceremo a pensare
anche in maniera alternativa, noi – purtroppo – saremo costretti ancora a contare
morti per malavita, morti per delinquenza ordinaria, morti anche per disperazione.
Direi che il nostro lavoro c’è, il nostro impegno c’è ma non è sufficiente e non potrà
essere sufficiente finché ci sarà un impegno costante anche da parte di altre agenzie.
Risolve il problema un sussulto di legalità, ma da parte di tutti, la convinzione
che sia possibile lavorare in una direzione diversa. L’esperienza cristiana va vissuta
soprattutto per strada, e non solo all’interno della nostre chiese.