Italia, alcol e giovani: mezzo milione a rischio dipendenza. Emanuele Scafato: servono
prevenzione e norme
Il consumo di alcol tra i giovani: un fenomeno diffuso e sottovalutato in Italia tanto
che sarebbero mezzo milione i ragazzi a rischio di dipendenza. Roberta Gisotti
ha intervistato il dott.Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio
nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità:
A volte cominciano
ad 11 anni e a 16 sono consumatori abituali di bevande alcoliche nocive per la loro
salute. Si va dagli ‘shortini’, cocktail dolci venduti a pochi euro ai ‘binge drinking’
una bravata che fa ingurgitare sei bicchieri di alcol alla volta a due milioni di
giovani tra i 16 e i 24 anni. Mode, tendenze, stili di vita che sacrificano i ragazzi
agli enormi interessi economici che sono dietro la vendita di alcol e preparano una
società sempre più schiava di consumi anche letali come l’alcol. Il 17 per cento delle
intossicazioni etiliche, fino al coma, registrate nei Pronto soccorsi riguarda adolescenti
tra i 13 e 16 anni, in parte destinati all’alcolismo come ci conferma il dott. Scafato:
D.
- Noi sappiamo che in Italia esistono almeno 60 mila pazienti alcol dipendenti in
carico ai servizi sanitari; di questi l’1% - poco più di un migliaio – ha un’età inferiore
ai 19 anni e questo è un fatto che desta molta preoccupazione, alla luce dell’esperienza
che ci vogliono almeno dagli 8 ai 10 anni - dipende da quella che è la carriera alcolica
delle persone – per la dipendenza. In ogni caso si tratta di soggetti che hanno cominciato
davvero presto a consumare e ad abusare di bevande alcoliche. Quindi, il problema
che si pone è cercare di capire come poter intercettare un comportamento a rischio
per evitare l’alcol dipendenza. È un discorso molto complesso che comunque merita
un’attenzione maggiore, tenuto conto di queste mode e tendenze che si diffondono rapidamente
anche tramite Internet e che invitano non solo al bere smodato ma all’intossicazione
alcolica. È qualcosa quindi da tenere sotto stretta sorveglianza.
D. – Mode
e tendenze: sappiamo che oggi bevono alcol i ‘bambini’ - perché è così che li dobbiamo
chiamare - in prima e seconda media...
R. – Assolutamente sì. Quando siamo
andati in giro nelle scuole per la Campagna del ministero della Salute “Non perderti
in un bicchiere”, abbiamo verificato che la prevalenza dei consumatori è notevole.
In ogni caso è un problema noto anche agli insegnanti ma spesso non è noto ai genitori,
che invece abilitano in famiglia il consumo alcolico a soggetti giovani che non hanno
la capacità di metabolizzare alcol.
D. – Sicuramente c’è una strategia di interessi
economici per indurre i più giovani a bere...
R. – La cultura del bere è legata
sostanzialmente alle pressioni ed al bere della società; che poi la società sia fatta
oggetto di pressioni da parte del marketing questo è fuori dubbio. Oggi, siamo sostanzialmente
consumatori immersi in un mercato; però non dobbiamo mai dimenticare che siamo noi
a poter scegliere, siamo noi che facciamo il mercato e non il contrario. Incominciare,
quindi, a parlare con i ragazzi, così come facciamo noi nelle scuole; verificare attentamente
anche i messaggi che arrivano perché quando troviamo un messaggio del tipo: “Bevi
responsabilmente” dove “bevi” è un imperativo che non dà margini di manovra, è chiaro
che bisogna fare quello che c’è da fare come adulti per incominciare a fornire elementi
di giudizio che possano consentire alla persona di fare scelte informate, soprattutto
sapendo quello che si sceglie, con tutti i rischi e con tutte le conseguenze che può
comportare.
D. – A questa deriva ci si può in qualche modo opporre, sappiamo
anche che ci sono divieti che nessuno osserva per la vendita degli alcolici ai minori;
gli stessi minori non sanno che è fatto loro divieto di bere...
R. – Il fatto
che non lo sappiano non credo che sia vero; loro sanno perfettamente che è vietata
la vendita e la somministrazione ai minori di anni 18, dal decreto Balduzzi e quindi,
da un anno e mezzo. Il problema è un problema di cultura, soprattutto degli adulti:
non dovrebbe mai esistere un adulto che dà alcol nonostante sia a conoscenza di un
divieto di legge e soprattutto di un articolo del Codice penale - il 698, che esiste
fin dal 1932 - e che sono previste ammende e sanzioni fino all’arresto. Allora agire
sulla cultura di questi individui, che sono adulti in grado di intendere e di volere,
può voler dire incrementare anche la tutela dei nostri ragazzi.
D. – Dalla
sua esperienza, dal suo osservatorio avete riscontrato che le campagne rivolte a ridurre
comportamenti e stili di vita a rischio, hanno effetto?
R. – La prevenzione
è importantissima: bisogna fare educazione, prevenzione però bisogna fare anche le
norme. Se lei pensa che è diminuita la mortalità sulle strade italiane e soprattutto
nelle classi di età più giovanili perché è stata adottata una norma che vieta il consumo
di alcol al di sotto dei 21 anni, questo ci dice che quando la prevenzione è accompagnata
da normative che vengono spiegate alla popolazione e ai giovani allora il risultato
c’è. Quindi, la norma serve perché non è un proibizionismo ma è una normale politica
di controllo che serve a tutelare la salute delle persone e soprattutto a bilanciare
la promozione del prodotto, che è così forzata ed così evidente, rispetto alla promozione
della solute che invece molto spesso non è oggetto nemmeno di supporto finanziario,
in tempi di scarse risorse.