In Venezuela ancora proteste antigovernative. Per Maduro in atto un tentativo di colpo
di Stato
Lunghe file di persone davanti ai mercati statali, dove è sempre più difficile trovare
cibo e medicine, e la crescente partecipazione alle proteste contro il governo. E’
questa la duplice immagine della situazione in Venezuela, Paese scosso da violenti
disordini che, dallo scorso 12 febbraio, hanno provocato la morte di almeno 18 persone.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Non si ferma
la protesta in Venezuela. Migliaia di dimostranti antigovernativi, soprattutto giovani,
hanno marciato ieri in un quartiere dell’alta borghesia di Caracas. Dopo questa manifestazione
pacifica, centinaia di attivisti hanno eretto barricate, bruciato pneumatici e lanciato
pietre contro agenti della Guardia Nazionale che hanno risposto con gas lacrimogeni.
Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, aveva cercato di smorzare le proteste accordando,
in occasione del Carnevale, sette giorni di vacanza. Ma questo provvedimento e la
vendita nei mercati statali di prodotti alimentari a prezzi agevolati non hanno spento
le proteste, innescate secondo gli osservatori da un’inflazione galoppante, dalla
carenza di alimenti e medicine, dal dilagare del crimine e da un’economia disastrata,
nonostante il Paese abbia grandi riserve di petrolio. Per il presidente Maduro le
agitazioni sono il frutto di un tentativo di colpo di Stato sostenuto dagli Stati
Uniti, che respingono ogni accusa. E’ stata rilasciata infine la fotografa italiana,
Francesca Commissari, arrestata venerdì scorso da agenti della Guardia Nazionale.
Sulla
complessa situazione in Venezuela, Amedeo Lomonaco ha intervistato Roberto
Da Rin, giornalista del Sole 24 Ore, esperto di America Latina:
R. – Il Venezuela
è ancora spaccato in due. Da una parte c’è chi ha ereditato la linea politica di Chavez,
e quindi Maduro, il nuovo presidente. Dall’altra gli oppositori che cercano di contrastarlo
in ogni modo. Il risultato elettorale ha sancito una vittoria di Maduro alle elezioni
presidenziali dello scorso autunno. E’ stata una vittoria esigua, quella di Maduro,
e quindi l’opposizione si è sentita legittimata, nelle prime settimane, a chiedere
di ricontare le schiede e poi a contestare, con manifestazioni quotidiane, il risultato
elettorale.
D. – Dopo la morte di Chavez, il presidente Maduro ha impostato
il suo agire politico in continuità con il suo predecessore. Quell’esperienza di Chavez
può essere ancora attuale per il Venezuela, oppure è una pagina superata in modo definitivo?
R.
– Non è superata in modo definitivo fino a che esiste una metà degli elettori del
Venezuela che continua, sostanzialmente, a supportare quella linea politica. Una linea
politica di sussidi, in parte, ma anche di programmi sociali che hanno migliorato
la vita delle classi sociali più disagiate, che in Venezuela sono una percentuale
rilevante della popolazione. Quindi, è morto Chavez, ma il chavismo rimane.
D.
– Quindi c’è una metà che ancora sostiene la politica di Chavez e un’altra che invece
la contesta. Sono proteste, queste, destinate ad essere contenute dal governo, o possono
invece aprire scenari nuovi?
R. – Tutto può succedere, naturalmente. Ciò che
congiura e mina la credibilità del nuovo presidente Maduro è una situazione economica
piuttosto degradata: l’inflazione è superiore al 50%, la disoccupazione è molto elevata
e, quindi, il Paese versa in condizioni critiche. C’è una svalutazione progressiva
del bolivar, la moneta venezuelana: al mercato ufficiale, un dollaro vale 6 bolivares,
mentre al cambio nero vale più di 80 bolivares. Quindi, c’è una divaricazione enorme
tra la credibilità del governo e quello che, in effetti, poi si riscontra sui mercati.
I prezzi dei beni importati continuano a lievitare e la situazione economica è compromessa.
Questo è un fatto reale che, naturalmente, non gioca a favore di una pacificazione
del Paese.
D. – A proposito di situazione economica, il petrolio e anche le
riserve di petrolio sono sicuramente una grande opportunità per il Paese, ma possono
essere anche un limite per il Venezuela, perché attirano molti e forti interessi …
R.
– Il Venezuela continua ad essere naturalmente un Paese petrolifero e, attualmente,
produce circa due milioni e mezzo di barili al giorno. E’ una cifra rilevante, anche
perché visto dagli occhi degli Stati Uniti, il Venezuela è il terzo Paese da cui importano
petrolio. Ma questi due milioni e mezzo di barili potrebbero essere di più: l’obiettivo
dei tre milioni di barili al giorno non è mai stato raggiunto proprio perché si sono
verificati, spesso, inconvenienti tecnologici e le imprese internazionali non sempre
hanno deciso di rinnovare i propri investimenti per ragioni di scarsa credibilità
politica. Ciò che comunque è importante sottolineare è che il futuro del Venezuela
sarà in parte deciso, con un peso specifico notevole, da Pdvsa (Petróleos de Venezuela,
S.A.) – che è l’impresa petrolifera, uno Stato nello Stato uno dei poteri forti E
naturalmente dall’esercito. Nel momento in cui la maggior parte dell’esercito dovesse
abbandonare Maduro, potrebbe diventare difficile per lui continuare a governare.
D.
–Qual è invece il ruolo degli Stati Uniti, in questa crisi?
R. – Il ruolo degli
Stati Uniti, naturalmente, è sempre stato quello di chi ha avversato sia Chavez sia
Maduro; fino ad ora, Obama non ha mai nascosto il suo scetticismo nei confronti di
Chavez e poi di Maduro, però finché questo scetticismo rimane così, è legittimo manifestarlo.
Non lo è, invece, se poi si trasforma in un’ingerenza palese.