Sud Sudan: si discute su governo di unità nazionale. L'esperto: serve accordo inclusivo
Un governo di transizione che comprenda entrambe le parti in conflitto. È questa la
soluzione proposta dai mediatori internazionali per il Sud Sudan, dove da circa due
mesi si scontrano militari fedeli al presidente Salva Kiir e i ribelli che sostengono
l’ex vicepresidente Riek Machar. Tuttavia restano alcuni ostacoli Davide Maggiore
ne ha parlato con il giornalista Raffaele Masto: :
R. – Il
problema è capire chi saranno le persone coinvolte in una soluzione di questo genere
e soprattutto se un eventuale governo di unità nazionale sarà composto con un equilibrio
tra uomini dei due personaggi che in questo momento si confrontano in Sud Sudan. L’altro
problema è capire se i due, Riek Machar e Salva Kiir, saranno coinvolti personalmente
in questo governo di unità nazionale. La mediazione è molto difficile, perché sia
l’uno che l’altro non possono ottenere meno di quello che già avevano: uno era presidente
e l’altro era vicepresidente.
D. – Il Sud Sudan si avvicina comunque, almeno
ufficialmente, a un’elezione presidenziale del 2015. Sarebbero destinati a riesplodere
i contrasti in vista del voto?
R. – Sì, è probabile. I problemi sono proprio
questi: un governo di unità nazionale dovrebbe, se possibile, non tenere conto degli
equilibri precedenti, ma soprattutto dovrebbe smussare la presenza di dinka e nuer
– quindi, aprire anche ad altre etnie - e dovrebbe essere quanto più comprensivo possibile.
Altrimenti, in vista delle elezioni del 2015, tornerebbero a manifestarsi contrasti
come quelli che hanno portato all’esplosione della guerra civile.
D. – Resta
poi un altro problema: ci sono vari "signori della guerra" che si muovono con una
certa autonomia. Un accordo in che modo potrebbe riguardare anche loro e convincerli
a cessare le ostilità?
R. – Le mediazioni internazionali in genere funzionano
in questo modo: chi controlla il territorio si conquista un posto al tavolo delle
trattative. Questa soluzione da una parte è logica, dall’altra parte è molto debole
perché poi è frutto della forza sul territorio e quindi non fa mai vincere la pace
sulla guerra. La situazione in Sud Sudan è veramente molto complicata: non solo i
ribelli non sono tutti sotto l’ombrello di Riek Machar, ma anche i governativi
non sono tutti sotto l’ombrello di Salva Kiir; quindi, rischierebbe di crearsi una
situazione in cui poi non si capisce più chi combatte contro chi; chi è alleato e
chi è favorevole ad una soluzione o ad un’altra.
D. – Lei è appena tornato
dal Sud Sudan. Per quello che ha potuto vedere sul terreno ci sono ancora problemi
tra le varie comunità rivali, soprattutto tra dinka ed i nuer?
R. – I problemi
tra dinka e nuer ci sono sempre stati, sono storici. Queste due grandi
etnie del Sud Sudan hanno sempre convissuto in una sorta di conflitto. Non sono mai
però riuscite a creare una situazione di contrapposizione come quella che è stata
creata adesso. Evidentemente, chi ha “aperto” questa guerra ha innescato anche l’arma
etnica, che è un’arma tremenda perché una volta innescata diventa difficile da disinnescare.
Sul terreno si vede esattamente questo. Quello che ci vorrebbe è un accordo che tenga
dentro tutti, che renda meno pesanti le appartenenze etniche e dia invece a tutti
la percezione che il futuro in accordo può essere vantaggioso per tutti. Questo lo
devono fare soprattutto i leader, i capi.