Libano: rivendicato da una sigla qaedista il duplice attentato a Beirut
Rivendicato da una sigla qaedista il duplice attentato dinamitardo, con due autobomba,
avvenuto ieri mattina nella parte sud di Beirut contro il Centro culturale iraniano.
L'attacco, il cui bilancio per ora è di 4 morti e 100 feriti, è avvenuto vicino all'ambasciata
del Kuwait, nel quartiere di Bir Hasan, poco lontano dall'ingresso dei quartieri dominati
dal movimento sciita filo-iraniano Hezbollah. Un ulteriore segnale di destabilizzazione
per il Paese dei Cedri, che rischia di essere coinvolto nel conflitto che lacera la
vicina Siria. Che rischi ci sono che questo avvenga? Salvatore Sabatino ne
ha parlato con Giorgio Bernardelli, esperto dell'area mediorientale:
R. – Intanto
è molto importante che l’obiettivo dell’attentato sia stato un Centro culturale iraniano.
E’ un messaggio assolutamente chiaro ed è un coinvolgimento sempre più massiccio del
Libano in quello che è lo scenario della guerra siriana, che come sappiamo vede l’Iran
e il suo alleato libanese hezbollah combattere a fianco delle truppe di Assad. La
matrice di questo attentato è chiara, insomma, portare quella stessa guerra, che da
tempo sconvolge la Siria, anche all’interno del Libano. Va ricordato anche che non
è la prima volta che a Beirut viene preso di mira un obiettivo specificatamente iraniano.
Nel mese di novembre c’era stato un attacco in grande stile, rivendicato dalla stessa
sigla terroristica, che rivendica l’attentato di oggi, contro l’ambasciata iraniana.
C’è una strategia chiara in questo senso.
D. – Ecco, è chiaro anche il segnale
di avere attaccato in un punto in cui c’è anche l’ambasciata del Kuwait, Paese che
fa parte dell’altro fronte della guerra siriana...
R. – Sì, fino ad un certo
punto. Secondo me è prevalente l’obiettivo di tipo iraniano. Teniamo presente, però,
che l’altro elemento, secondo me, molto importante all’interno di quello che è successo
oggi, è il momento in cui si colloca questo attentato. Proprio l’altro giorno c’è
stato questo accordo, che dopo 11 mesi di caos istituzionale, all’interno del Libano,
sembrava aprire uno spiraglio della formazione di un governo di unità nazionale, che
per la prima volta dal 2005 vedrebbe insieme sia lo schieramento legato ad hezbollah
sia quello legato a Saad Hariri, il fronte sunnita moderato. Ecco, si tratta di una
novità politica importante, di una scommessa da parte del Libano, di un tentativo
di mettere in primo piano quello che è il bene del proprio Paese rispetto a tutte
queste ingerenze, queste influenze che arrivano dalla situazione assolutamente drammatica
che vive l’intera regione.
D. – E quali conseguenze, a questo punto, ci possiamo
aspettare proprio sul nuovo Esecutivo libanese?
R. – E’ difficile dirlo, certamente
fin dalle sue primissime ore vive una situazione molto difficile, perché questa coabitazione
tra hezbollah e sunniti viene messa già a dura prova da questo attentato. Molto starà
anche a capire quali saranno i provvedimenti - e la reazione - che verranno presi
dal nuovo ministro degli Interni libanesi, che è un esponente sunnita. Sarà, quindi,
interessante vedere quale sarà nelle prossime ore la reazione e se questo tentativo
importante riuscirà a sopravvivere. Teniamo, però, presente che siamo ancora all’annuncio
di un governo, per cui c’è ancora il passaggio della fiducia in Parlamento a partire
dal programma, e ancora più importante, alla fine di marzo e primi di aprile, il Libano
dovrà eleggere anche un nuovo Presidente della Repubblica. E’ una fase, dunque, delicatissima
del Paese. Evidentemente, appare chiaro che c’è qualcuno che vuole sabotare questo
tentativo di unità nazionale.
D. – C’è la percezione nella comunità internazionale
che il Libano potrebbe diventare la prossima emergenza da affrontare?
R. –
Io credo proprio di sì, perché purtroppo questa oggi non è una percezione, è un dato
di fatto. Il susseguirsi di questi attentati negli ultimi mesi è davvero impressionante
da questo punto di vista. E d’altra parte, il coinvolgimento diretto di Hezbollah
all’interno del conflitto siriano è uno dei grossi nodi che impediscono di trovare
una soluzione anche a quel tavolo negoziale che si è aperto a Ginevra.