2014-02-15 17:13:16

Musei Vaticani, culture e religioni in dialogo: in mostra i manufatti indonesiani


Dimostrare attraverso l’arte che popoli con culture, etnie e religioni diverse possono convivere in armonia. È questo il messaggio di fondo dell’esposizione temporanea sull’Indonesia aperta il 14 febbraio al Museo Etnologico Vaticano. Oltre 200 i manufatti, che rimarranno in mostra per un anno e che si aggiungono alla ricca Collezione indonesiana dei Musei Vaticani, costituita da oltre mille oggetti che vanno dall'VIII al XIX secolo: dalle raffinate statue in bronzo rappresentanti divinità induiste e buddiste alle marionette di Giava per il teatro delle ombre "wayang", da un Corano in miniatura a un Crocifisso decorato da motivi tipici degli Asmat, gruppo nativo di Papua. L’iniziativa è promossa in collaborazione con il governo indonesiano e l’Ambasciata indonesiana presso la Santa Sede. Il servizio di Antonella Pilia:RealAudioMP3

“Indonesia, terra di armonia”: questo il titolo scelto dai Musei Vaticani per l’esposizione temporanea sull’Indonesia. Un arcipelago formato da migliaia di isole, in cui convivono numerose etnie con culture e religioni diverse. Il curatore dell’esposizione, padre Nicola Mapelli:

“Il sottotitolo della mostra è ‘Indonesia land of harmony’. Proprio perché l’Indonesia, che è la più grande nazione musulmana al mondo, al suo interno ha anche cristiani, buddisti, induisti e religioni etniche delle popolazioni indigene. Il governo indonesiano porta avanti un progetto e cerca di fare tutto il possibile affinché tutte queste religioni e le diverse culture vivano in armonia. Per noi è molto importante cercare di dimostrare, anche attraverso l’arte indonesiana esposta in Vaticano, questo messaggio di dialogo, di pace e di armonia”.

In mostra oltre 200 manufatti, selezionati e allestiti in collaborazione con il governo indonesiano. Con l’obiettivo di andare oltre l’oggetto materiale per testimoniare la cultura di chi lo ha realizzato, attraverso un ricco apparato fotografico. Stefania Pandozy, responsabile del laboratorio polimaterico dei Musei Vaticani:

“Abbiamo doni ai Papi e un intero villaggio realizzato in filigrana di argento. Poi abbiamo anche altri esemplari di sculture realizzate in corno, molto interessanti, e dei paraventi in pergamena dipinta e traforata: un esempio veramente pregiato di un’opera molto raffinata. Inoltre ci sono esempi di tessitura, un’arte davvero molto importante in Indonesia con la tecnica particolare del batik. Ci auguriamo che questi oggetti riprendano vita, trovino proprio la voce, per raccontare i popoli dai quali sono stati creati”.

Questa mostra è dunque un esempio concreto di arte posta al servizio del dialogo e della fratellanza, come sottolinea il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato della Città del Vaticano:

“Ancora una volta verifichiamo che l’arte, soprattutto quella di ispirazione sacra, può essere una fonte di dialogo, un messaggio di pace e di conciliazione agli uomini di tutti i tempi e di tutti i Paesi. Questa è la strada specifica con cui i Musei Vaticani desiderano fare proprio il costante richiamo alla fratellanza e al rispetto reciproco che sta segnando l’azione pastorale di Papa Francesco. Questa missione è affidata in particolare alle collezioni etnologiche, che sono testimonianza silenziosa ed efficace di quanto il senso religioso possa unire i popoli e costruire fecondi percorsi di collaborazione”.

Ad ospitare l’esposizione, infatti, è la sezione etnografica dei Musei Vaticani, dedicata alla valorizzazione delle culture di tutti i popoli. Il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani:

“La sezione dei Musei Vaticani che porta il titolo di ‘Collezioni etnografiche’ dimostra l’attenzione storica della Chiesa di Roma per tutte le culture, per tutte le forme di espressione artistica. Questo è molto importante perché ci fa capire davvero il destino, il ruolo e la storia della Chiesa. Basti pensare che il museo etnografico, questa sezione speciale dei Musei Vaticani, è stata fondata da Papa Pio XI negli anni ’20 del Novecento, quando il colonialismo era al suo apice, quando non era neanche immaginabile pensare che si potessero valorizzare culture diverse da quella europea o americana”.







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