Kosovo: 6 anni fa la proclamazione unilaterale dell'indipendenza
Sei anni fa, il 17 febbraio del 2008, il Kosovo proclamava in modo unilaterale la
sua indipendenza dalla Serbia. Oggi il Paese è riconosciuto come Stato indipendente
da 23 dei 28 membri dell'Unione Europea e dallo scorso anno si sono aperti i negoziati
per la ratifica dell'accordo di stabilizzazione e associazione con l'Unione Europea,
prerequisito per entrare nella comunità. Massimiliano Menichetti ha raccolto
il commento di Matteo Tacconi esperto dell’area:
R. - Il Kosovo
è un Paese che ancora stenta a trovare una sua fisionomia sia a livello diplomatico,
perché non è ancora membro dell’Onu - permane il veto della Russia e della Cina -
e sia perché la sua economia non funziona. A questo proposito, c’è stato un calo delle
rimesse durante questi anni di crisi, il Kosovo poi è legato mani e piedi alle donazioni
e agli investimenti occidentali - anche qui il flusso si è ridotto - fermo restando
che poi rimangono i problemi strutturali come l’assenza di una rete di piccole, medie
e grandi imprese, il problema della corruzione … Poi, però, tante cose sono cambiate
in positivo, ci sono stati dei progressi: il più importante, senz’altro, è quello
recente che riguarda il dialogo con la Serbia e il tentativo di sbloccare - almeno
parzialmente - i problemi che ci sono nella parte nord del Kosovo, quella a maggioranza
serba.
D. - Qui permangono, di fatto, due realtà …
R. – La zona era,
ed ancora lo è in parte, controllata dalla Serbia tramite le cosiddette istituzioni
parallele: giustizia, polizia, dogane, scuola, moneta. Il Kosovo, di fatto, non esercita
sovranità. Però recentemente ci sono stati degli accordi, mediati dall’Unione Europea,
in base ai quali si è arrivato ad un tentativo di edulcorare un po’ questo status
quo, renderlo un po’ più leggero. La Serbia ha parzialmente smantellato le sue
istituzioni parallele, soprattutto per quanto riguarda giustizia e polizia. Di fatto,
queste strutture passano sotto il controllo amministrativo del governo kosovaro.
D.
- La situazione però in quella striscia di Kosovo rimane tesa …
R. - Più che
dal Kosovo, che comunque dovrà dimostrare una volontà di dialogare ed integrare la
minoranza serba, dipende dalla Serbia: i serbi del Kosovo sono disposti a questo compromesso
accettando quello che la loro madrepatria, Belgrado, ha negoziato? Finora è sembrato
di no. Però, se la situazione continua ad essere la stessa, questa potrà tornare ad
essere incandescente; e in parte si è già visto alle recenti elezioni amministrative
in quell’area di Kosovo, elezioni segnate anche da violenze, che la situazione è tutt’altro
che stabilizzata.
D. - Proprio per quanto riguarda le elezioni terminate a
dicembre, l’opposizione ha rovesciato molti sindaci delle forze di governo in numerose
amministrazioni …
R. - Il governo di Hashim Thaçi, in carica da diversi anni,
fisiologicamente sta registrando un calo del proprio consenso e, anche a livello internazionale,
non è più sostenuto come lo era fino a qualche tempo fa, perché comunque è un governo
che ha dimostrato di non essere del tutto trasparente.
D. - Lo scorso anno
si sono aperti i negoziati per la ratifica dell’accordo di stabilizzazione e associazione
con l’Unione Europea. Che cosa significa questo per il Paese?
R. - Potrebbe
significare molto, perché questi accordi sono il primo passo per un approfondimento
delle relazioni con l’Europa. Significa: fondi europei, accordi sulle dogane, visti
per l’espatrio concessi in maniera molto più fluida, e questa è la cosa più importante
per il Kosovo. Non dobbiamo dimenticare che in Kosovo c’è una disoccupazione altissima,
soprattutto tra i giovani, cosa che, potenzialmente, rappresenta una miccia sociale
sempre accesa.
D. - Quindici anni fa il sanguinoso conflitto per l’indipendenza
dalla Serbia. Un Paese piccolo ma che spesso è al centro delle attenzioni internazionali
…
R. - La Serbia è il Paese di riferimento del Sud-Est europeo. Quindi se i
suoi rapporti con il Kosovo sono conflittuali, si possono radicalizzare alcuni conflitti
“etnici” e non solo, come nel caso della Macedonia, dove c’è un rapporto difficile
tra la maggioranza slava e la minoranza albanese, come il caso della Bosnia – lo abbiamo
visto nei giorni scorsi – dove c’è stata una serie di proteste contro l’élite politica:
la Bosnia è un Paese che presenta una tripartizione dal punto di vista etnico-culturale.
La Serbia è quindi il Paese chiave: più questo Paese riuscirà ad amalgamarsi in uno
scenario europeo, più fluida sarà la situazione nei Balcani. Poi bisogna dire che
la Serbia, nelle ultime settimane, ha aperto i negoziati di adesione con l’Unione
Europea. In teoria una strada è stata imboccata e questo potrà avere delle ripercussioni
positive su tutta la Regione.