L’energia e gli scenari geopolitici d'Asia. Intervista al presidente della Nato Foundation
L’energia è al centro dei cambiamenti dello scenario geopolitico in Asia. E' quanto
emerge dalla conferenza della "Nato College Foundation", dedicata proprio alle scelte
di riposizionamento dell’Alleanza Atlantica in Asia, in corso da ieri a Roma. A seguirla
è Fausta Speranza:
Diversi i fattori
che stanno determinando un cambiamento dello scenario e che chiedono nuove strategie.
Tra questi, la questione energetica, come ci spiega il presidente della Nato Foundation,
Alessandro Minuto Rizzo, già ambasciatore e capo missione Nato in Afghanistan:
"L’energia
c’entra molto, soprattutto se noi parliamo di Asia, perché si sta verificando un aumento
continuo soprattutto di domanda di energia da parte cinese. Quindi, la Cina, un miliardo
e 400 milioni di persone, è diventata ormai un consumatore di energia fortissimo e
quindi è un Paese che cerca ovunque di trovare spazi e di trovare fornitori. Questo
porta grossi cambiamenti strategici perché, per esempio, l’Asia centrale, che era
sempre stata sotto l’influenza russa, adesso è sempre più sotto l’influenza cinese.
Nel Golfo Persico, per esempio, se gli Stati Uniti avranno meno bisogno di petrolio
e di gas in futuro, è chiaro che invece la Cina diventa un acquirente come l’India
di grande importanza".
Tra le incognite della rivoluzione energetica, c’è
la nuova frontiera avviata con l’estrazione di petrolio e gas da formazioni scistose,
praticamente estrazione dalla roccia. Per alcuni Paesi l’ostacolo principale è la
mancanza di gasdotti e oleodotti ma a breve su questo possono attrezzarsi. Ma guardiamo
alle altre questioni da considerare. Minuto Rizzo sottolinea:
"Sì, c’è
anche il fatto che alla fine di quest’anno finirà la principale operazione della Nato
in corso, quella in Afghanistan. Questo naturalmente creerà in un certo senso un vuoto
in Asia centrale perché non sappiamo bene se l’Afghanistan riuscirà ad essere uno
Stato sostenibile dopo che la comunità internazionale si è ritirata. Speriamo di sì,
perché se non lo fosse abbiamo un elemento di incertezza in più. Tutta quella zona,
infatti, tra l’Iran, l’Uzbekistan e il Pakistan, l’India, è chiaramente una zona molto
fragile. Avere un Afghanistan che ridiventa uno Stato fallito sarebbe assolutamente
molto grave".
E ci sono poi i problemi della regione araba, dovuti ai differenti
esiti delle rivoluzioni, alcune delle quali sono ancora in corso:
"Quello
che mi sembra stia emergendo nella regione araba è una differenziazione crescente
tra i vari attori. Mentre noi in passato, fino a due, tre anni fa, eravamo un po’
abituati tutti a dire “regione araba” adesso quello che viene fuori sempre di più
è che ci sono diversi interessi, diverse politiche, diverse posizioni e non è facile
identificare una regione araba. Per esempio, abbiamo l’Egitto che attualmente ha un
governo secolare, cioè i Fratelli musulmani sono stati respinti. Il Qatar invece appoggia
i Fratelli musulmani, come fa la Turchia. L’Arabia Saudita supporta l’attuale governo
militare… C’è una differenza di interessi che sta crescendo. L’Iraq è in crisi, nel
senso che ci sono attentati tutti i giorni e non sappiamo se riuscirà a resistere
come Stato unitario. Quindi, è evidente la frammentazione della regione e il fatto
che sono sempre più in discussione gli Stati nazionali, come noi li conosciamo oggi.
Parlo della Libia, della Siria, dell’Iraq, considerati Stati dopo la Prima guerra
mondiale - in realtà, su impulso europeo, a seconda dei Paesi che erano lì - e adesso
sono in forte crisi".
Resta da dire della sfida sul piano industriale e
tecnologico: il punto è che in pochi anni la metà dei 10 Paesi che maggiormente spendono
in armamenti potrebbe non essere dentro la Nato. Non può non incidere sugli equilibri
geopolitici.