2014-02-14 14:13:57

L’energia e gli scenari geopolitici d'Asia. Intervista al presidente della Nato Foundation


L’energia è al centro dei cambiamenti dello scenario geopolitico in Asia. E' quanto emerge dalla conferenza della "Nato College Foundation", dedicata proprio alle scelte di riposizionamento dell’Alleanza Atlantica in Asia, in corso da ieri a Roma. A seguirla è Fausta Speranza:RealAudioMP3

Diversi i fattori che stanno determinando un cambiamento dello scenario e che chiedono nuove strategie. Tra questi, la questione energetica, come ci spiega il presidente della Nato Foundation, Alessandro Minuto Rizzo, già ambasciatore e capo missione Nato in Afghanistan:

"L’energia c’entra molto, soprattutto se noi parliamo di Asia, perché si sta verificando un aumento continuo soprattutto di domanda di energia da parte cinese. Quindi, la Cina, un miliardo e 400 milioni di persone, è diventata ormai un consumatore di energia fortissimo e quindi è un Paese che cerca ovunque di trovare spazi e di trovare fornitori. Questo porta grossi cambiamenti strategici perché, per esempio, l’Asia centrale, che era sempre stata sotto l’influenza russa, adesso è sempre più sotto l’influenza cinese. Nel Golfo Persico, per esempio, se gli Stati Uniti avranno meno bisogno di petrolio e di gas in futuro, è chiaro che invece la Cina diventa un acquirente come l’India di grande importanza".

Tra le incognite della rivoluzione energetica, c’è la nuova frontiera avviata con l’estrazione di petrolio e gas da formazioni scistose, praticamente estrazione dalla roccia. Per alcuni Paesi l’ostacolo principale è la mancanza di gasdotti e oleodotti ma a breve su questo possono attrezzarsi. Ma guardiamo alle altre questioni da considerare. Minuto Rizzo sottolinea:

"Sì, c’è anche il fatto che alla fine di quest’anno finirà la principale operazione della Nato in corso, quella in Afghanistan. Questo naturalmente creerà in un certo senso un vuoto in Asia centrale perché non sappiamo bene se l’Afghanistan riuscirà ad essere uno Stato sostenibile dopo che la comunità internazionale si è ritirata. Speriamo di sì, perché se non lo fosse abbiamo un elemento di incertezza in più. Tutta quella zona, infatti, tra l’Iran, l’Uzbekistan e il Pakistan, l’India, è chiaramente una zona molto fragile. Avere un Afghanistan che ridiventa uno Stato fallito sarebbe assolutamente molto grave".

E ci sono poi i problemi della regione araba, dovuti ai differenti esiti delle rivoluzioni, alcune delle quali sono ancora in corso:

"Quello che mi sembra stia emergendo nella regione araba è una differenziazione crescente tra i vari attori. Mentre noi in passato, fino a due, tre anni fa, eravamo un po’ abituati tutti a dire “regione araba” adesso quello che viene fuori sempre di più è che ci sono diversi interessi, diverse politiche, diverse posizioni e non è facile identificare una regione araba. Per esempio, abbiamo l’Egitto che attualmente ha un governo secolare, cioè i Fratelli musulmani sono stati respinti. Il Qatar invece appoggia i Fratelli musulmani, come fa la Turchia. L’Arabia Saudita supporta l’attuale governo militare… C’è una differenza di interessi che sta crescendo. L’Iraq è in crisi, nel senso che ci sono attentati tutti i giorni e non sappiamo se riuscirà a resistere come Stato unitario. Quindi, è evidente la frammentazione della regione e il fatto che sono sempre più in discussione gli Stati nazionali, come noi li conosciamo oggi. Parlo della Libia, della Siria, dell’Iraq, considerati Stati dopo la Prima guerra mondiale - in realtà, su impulso europeo, a seconda dei Paesi che erano lì - e adesso sono in forte crisi".

Resta da dire della sfida sul piano industriale e tecnologico: il punto è che in pochi anni la metà dei 10 Paesi che maggiormente spendono in armamenti potrebbe non essere dentro la Nato. Non può non incidere sugli equilibri geopolitici.







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