Centrafrica. L'arcivescovo di Bangui: "Rischio genocidio imminente"
“Il rischio che si arrivi al genocidio è imminente”. È il grido di allarme lanciato
nei giorni scorsi dall’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonnè Nzapalainga, ad Aiuto
alla Chiesa che soffre (Acs). Il presule descrive l’attuale situazione in Repubblica
Centrafricana ed esorta le Nazioni Unite ad inviare un contingente di pace adeguato.
“Con appena 4mila o 5mila soldati è impossibile restaurare la pace nell’intero Paese
- spiega -. Per proteggere la popolazione servono più uomini. La crisi ha ormai raggiunto
proporzioni drammatiche e in Centrafrica potrebbero regnare definitivamente il caos,
l’anarchia e il disordine totale”. Mons. Nzapalainga - riferisce l'agenzia Sir - racconta
di un suo recente viaggio a Bodango, un piccolo villaggio a 190 chilometri da Bangui.
Arrivato sul luogo, il presule si è reso conto che erano scomparsi circa duecento
musulmani che abitavano il piccolo centro ed ha chiesto ad alcuni militanti anti-balaka
cosa fosse successo. “Mi hanno risposto che erano stati cacciati e si erano trasferiti
nella capitale. Ma come potevano camminare per quasi 200 chilometri con donne, anziani
e bambini? È chiaro che è andata diversamente”, denuncia il presule. L’arcivescovo
sottolinea come, a differenza di quanto diffuso dai media internazionali, gli anti-balaka
- che in lingua Sango significa anti-machete - non sono milizie cristiane. Un’estraneità
ribadita ieri anche dal vescovo di Bangassou, mons. Juan José Aguirre. “Nessuna milizia
cristiana sta uccidendo i musulmani in Centrafrica - ha dichiarato ad Acs -. Gli anti-balaka
sono dei cittadini traumatizzati ed esaltati, che dopo aver subito per un anno violenze
e soprusi da parte della Seleka, hanno deciso di vendicarsi riversando il proprio
odio contro la coalizione e contro i centrafricani di fede islamica che l’hanno sostenuta”.
La popolazione continua a vivere nel terrore e ad assistere a scene che, afferma mons.
Nzapalainga, “ricordano il genocidio in Ruanda”. L’arcivescovo si riferisce a quanto
accaduto a Bohong, il piccolo villaggio cristiano a 15 chilometri da Bouar attaccato
dalla Seleka l’estate scorsa. “Persone arse vive, case bruciate, teschi e ossa abbandonati
tra le ceneri - racconta -. Avevo visto simili crudeltà solo nei documentari sull’olocausto
ruandese. Oggi il diavolo vive nel nostro Paese e se nessuno tratterrà la sua mano,
il maligno riuscirà a raggiungere il suo obiettivo: uccidere e distruggere”. La presenza
dei missionari è uno dei pochi aiuti rimasti ai centrafricani: “Loro hanno scelto
di rimanere, non sono stati costretti. E nel coraggio di questi religiosi i centrafricani
possono intravedere una luce nel buio della notte. Perché se i missionari sono ancora
in Centrafrica, vuol dire che c’è ancora speranza”. (R.P.)