2014-02-12 07:23:43

Giornata contro uso minori nei conflitti: oltre 250 mila i bambini soldato


Sono ancora oltre 250.000 i bambini e gli adolescenti arruolati per combattere: dalla guerra in Siria ai conflitti ‘dimenticati’ in Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, la piaga è tutt’altro che estirpata. La denuncia viene dalla Coalizione Italiana Stop all'Uso dei Bambini Soldato, che in occasione della Giornata internazionale contro l’uso dei minori nei conflitti celebrata ieri, lancia il nuovo sito www.bambinisoldato.it: si tratta di uno spazio interamente dedicato all’emergenza, per sollecitare l’opinione pubblica e le istituzioni di tutto il mondo alla ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, in vigore dal 2002. Ascoltiamo Marco Rotelli, segretario generale di Intersos, organizzazione che partecipa alla Coalizione Italiana, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – Li chiamiamo “bambini soldato” ma è equivalente a dire “bambini nei conflitti armati”, ovvero quei minori che a vario titolo vengono reclutati o inseriti in maniera diretta o indiretta nelle forze armate regolari e molto spesso in quelle irregolari, nei gruppi ribelli armati. Lo dico perché nei numeri c’è un’enorme prevalenza di ragazze e ragazzine che vengono inserite per scopi non direttamente legati al combattimento ma di sfruttamento, a volte – purtroppo molto spesso – sessuale, da parte dei combattenti.

D. – Generalmente come vengono reclutati?

R. – Ci sono vari modi. Tra i più frequenti c’è il rapimento vero e proprio; altre volte vengono in qualche modo circuite le famiglie con garanzie legate alla sicurezza, con minacce e altro, per portar via i figli e sostanzialmente dedicarli a questo tipo di attività. Parliamo di numeri difficili da quantificare, nel mondo: sono probabilmente oltre 250 mila. Sappiamo che, proprio perché difficili da registrare, si tratta di numeri indicati per difetto: verosimilmente ce ne sono molti di più. Solo nella Repubblica Centrafricana, la cui situazione oggi è purtroppo di grande attualità, ne abbiamo oltre 6 mila. Noi abbiamo fatto un punto anche su altre due situazioni, certamente importanti, quella della Siria e quella del Sud Sudan: si parla di migliaia anche in questi casi. Ad esempio, in Sud Sudan, nei recenti violentissimi scontri nel periodo di Natale, la nostra stessa base è stata distrutta ad opera di bambini, di minori reclutati da forze che si opponevano alle truppe regolari. Ciò avviene proprio perché permette alle forze di opposizione di intervenire con persone che sono poi difficilmente giudicabili, qualora venissero prese. Possiamo fare un riferimento, però, anche ad azioni “virtuose”: recentemente, nel mese di gennaio, in Myanmar, il governo ha ottenuto che quasi un centinaio di bambini coinvolti nel conflitto armato fosse rilasciato dalle forze armate, risolvendo quindi una parte del problema. Se ne ha, in queste circostanze, un altro, di problema: quello della reintegrazione di questi ragazzi e ragazze per i quali, proprio in forza del loro vissuto, molto spesso particolarmente violento, la reintegrazione nelle famiglie e nella società diventa particolarmente difficile. Hanno infatti visto e commesso delle violenze difficili da elaborare e da accettare e sono considerati pericolosi dalla società. Quindi, nasce una necessità di sostegno alla reintegrazione che è tutt’altro che facile da portare avanti.

D. - Hanno ratificato il Protocollo 153 Stati, ma anche tra questi Paesi c’è chi di fatto va a violare l’intesa?

R. – C’è un enorme divario tra gli Stati che hanno firmato e ratificato questo Protocollo e la reale attuazione sul terreno. Abbiamo la Repubblica Centrafricana ma anche il Libano, il Pakistan e la Somalia sono considerati tra i Paesi con il maggiore divario tra la firma effettiva, legale del Protocollo e l’assolutamente scarsa attenzione al fenomeno, se non addirittura alla promozione del fenomeno. Ci sono altri Stati che invece non l’hanno affatto firmato e in questo momento commettono violazioni gravi al testo.

D. – Quali casi oggi vengono maggiormente segnalati e denunciati e come?

R. – Ovviamente, è molto difficile individuarli da un punto di vista formale. Molto spesso sono rapporti fatti da attori, tra cui organizzazioni non governative, presenti sul territorio, che sono in prossimità dei conflitti o comunque dei movimenti di queste truppe: quindi, vedono e testimoniano la situazione e cercano di fare delle stime. Faccio un esempio: a Intersos stesso a volte è successo, in Somalia, di vedere l’effettiva tendenza al reclutamento di bambini nei conflitti armati, da parte di elementi dell’opposizione. L’appello di questa Coalizione è dunque quello sostanzialmente di aumentare la sensibilità e la consapevolezza sul fenomeno.

Ultimo aggiornamento: 13 febbraio







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