Convegno a Roma a 30 anni dal nuovo Concordato Santa Sede-Italia: l'intervento di
mons. Parolin
“Fu una pagina nuova che sancì un modo nuovo di guardarsi reciprocamente e di collaborare
per il bene del Paese”. Così il segretario di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin,
sulla Revisione del Concordato tra Stato e Chiesa sancito trent’anni fa a Villa Madama.
L’occasione è stata un convegno organizzato mercoledì al Senato, nell’anniversario
di quella storica firma tra l’allora capo del governo Bettino Craxi e il cardinale
segretario di Stato Agostino Casaroli. Il servizio di Gabriella Ceraso:
30 anni di
collaborazione che non confonde ordini, ma ribadisce un principio di laicità positiva.
Il segretario di Stato vaticano riassume così il tempo intercorso da quel lontano
1984 tra Stato e Chiesa, ciascuno – come dettava il Concordato – nel proprio ordine
indipendente e sovrano e impegnato nella collaborazione reciproca per la promozione
dell’uomo e del bene del Paese. E’ quello spirito, sottolinea mons. Piero Parolin,
quell’approccio ai problemi, quel rapporto leale e aperto allora innovativo, che resta
e deve costituire anche oggi un fattore di crescita:
“La percezione era
che con l’accordo di Villa Madama si voltava decisamente pagina rispetto ai concordati
del passato; in particolare, ci si allontanava sensibilmente dalla tradizione novecentesca,
che era stata profondamente segnata dal confronto della Chiesa con Stati totalitari
autoritari e dal ricorso allo strumento 'pattizio' al fine di conquistare spazi di
libertà all’azione ecclesiastica”.
Nuova la struttura complessiva dell’accordo,
ma soprattutto – spiega mons. Parolin – nuova la filosofia:
“Non più espressione
dello ius habendi, non più visto nella reciproca preoccupazione di porre in essere
un actio finium regundorum, ma inteso come strumento, espressione di libertà e collaborazione
per il bene comune. Con gli occhi della storia si può certamente dire che l’accordo
di Villa Madama costituì il prototipo delle convenzioni concordatarie post conciliari”.
Mons.
Parolin sottolinea i presupposti condivisi dalla Chiesa e dalla Repubblica italiana,
sanciti dal Concordato, e spiega quanto in esso il mondo cattolico allora percepì
l’eco evidente degli insegnamenti conciliari, specie rispetto al diritto di libertà
religiosa, matrice di ogni altro diritto di libertà:
“Al riguardo si deve
considerare che i compiti di benessere materiale sono propri della Chiesa, così come
delle altre confessioni religiose; mentre i compiti di benessere temporale sono propri
dello Stato. Ma a quest’ultimo compete creare le condizioni normative e materiali
perché le istituzioni ecclesiastiche possano effettivamente rispondere, secondo quanto
ad esse compete, ai bisogni spirituali della persona. Detto in altre parole: spetta
allo Stato rimuovere gli ostacoli giuridici o fattuali, che limitino o addirittura
impediscano l’esercizio del diritto di libertà religiosa. E sull’impegno in questo
senso è la vera misura dell’autentica laicità. D’altra parte, è sempre più evidente
che il moderno Stato pluralista e democratico, che necessariamente non può non essere
laico, ha necessità di presupposti che non è in grado di forgiare e garantire”.
Il
Convegno ha messo in luce anche il percorso difficile che portò al Concordato, il
ruolo di ponte tra Stato e Chiesa svolto dalla Conferenza episcopale italiana, come
ha sottolineato il segretario, mons. Nunzio Galantino:
“La Cei,
la Conferenza episcopale italiana, si propone come figura concreta dell’unità della
Chiesa, che concorre a suo modo a far crescere quella del popolo italiano nel rispetto
delle legittime diversità e nel rispetto anche delle sacrosante autonomie”.
Fondamentale
allora fu anche il ruolo svolto da Bettino Craxi, che intuì quanto il tessuto italiano
non potesse reggere senza l’apporto del cristianesimo, tuttora necessario, ha sottolineato
anche il presidente del Senato Pietro Grasso, auspicando che si possa guardare
quanto accaduto 30 anni fa come antecedente virtuoso per superare ogni conflitto:
“Esponenti
politici, provenienti da culture ed esperienze profondamente diverse, compresero l’urgenza
di affrontare temi così delicati e concorsero ad individuare un punto di sintesi,
superando anche le pregiudiziali ideologiche”.