2014-02-12 13:33:19

Conferenza di Ankara: Turchia, Pakistan e Afghanistan lavorano per la pace. A Karachi ancora un attacco kamikaze


“Una pace sostenibile nel cuore dell'Asia”. E’ la sfida e slogan del trilaterale al via mercoledì ad Ankara. Seduti intorno ad un tavolo i presidenti di Turchia e Afghanistan, Abdullah Gul e Hamid Karzai, il premier pachistano Nawaz Sharif e quello turco Recep Tayyip Erdogan. Previsti fino a domani, una serie d’incontri anche tra i ministri degli Esteri dei tre Paesi, vertici militari e uomini d'affari. Al centro del summit, l'ottavo dal 2007, la sicurezza nella regione, la cooperazione a livello economico e politico. Il servizio di Massimiliano Menichetti: RealAudioMP3


In piena crisi politica, guardando all’Europa, la Turchia ospita l’ottavo summit con il Pakistan e l’Afghanistan. Sfida centrale: la stabilizzazione dell’area asiatica. Continui infatti gli attacchi dei terroristi in Afghanistan, Paese che il prossimo 5 aprile andrà alle presidenziali e che vedrà, entro la fine dell’anno, il ritiro delle truppe di coalizione internazionale. Pesante anche la situazione pakistana dove i talebani, nonostante la dura repressione del governo, continuano la mattanza di vite con decine di attentati, oggi un kamikaze ha ucciso 11 persone a Karachi. Il commento di Pietro Batacchi direttore di Rivista italiana difesa:RealAudioMP3

R. – E’ un onesto tentativo, ma che sconta la realtà internazionale. Il significato di questo summit va letto alla luce di un fatto molto semplice: il disimpegno della Nato dall’Afghanistan, la mancanza ancora dell’accordo bilaterale sul post-2014 tra lo stesso Afghanistan e gli Stati Uniti che potrebbe creare un pauroso vuoto di sicurezza. Per cui, alla luce di questa incertezza è chiaro che ci sono una serie di attori, tra cui la Turchia, che cercano e cercheranno di riempire in qualche modo questo presumibile vuoto di sicurezza.

D. – La Turchia è un Paese molto attivo in ambito internazionale…

R. - In realtà direi che, al di là dell’attivismo, del gran da fare della Turchia sul piano internazionale, questo ha prodotto pochissimi risultati concreti. La crisi siriana è uno degli esempi più lampanti. Laddove Ankara cercava una partnership nuova con Assad, di rilanciare le relazioni tra i due Paesi, si è ritrovata con una bomba di profughi in casa, si è ritrovata con un aereo F4 abbattuto lo scorso anno dalla contraerea siriana. I rapporti tra la Turchia e la Siria del presidente Assad sono precipitati. Per cui c’è un certo velleitarismo nella politica estera turca.

D. - Sia Afghanistan sia Pakistan si trovano a dover fare i conti pesantemente con il terrorismo…

R. – Il Pakistan, se combatte i talebani e i pachistani in casa propria, in realtà, in Afghanistan dà supporto ai talebani. Una volta si chiamava il “grande gioco”; in realtà, adesso lo potremmo chiamare il “grande teatro delle ambiguità”, per destabilizzare sostanzialmente chi è il vero supporter del presidente Karzai, ovvero l’India, nemico giurato del Pakistan. Per cui, se guardiamo anche a questo vertice più che parlare di chi c’è, potremmo parlare di chi non c’è, ovvero l’Iran e l’India. Il terrorismo non è che una conseguenza di questa ambiguità, di queste contraddizioni create dalle stesse politiche estere di Turchia e di Pakistan.

D. – In un contesto del genere è possibile parlare di stabilizzazione per l’Afghanistan?

R. – Parlare della stabilizzazione dell’Afghanistan senza chiamare in causa India, Iran e, aggiungo, Russia, mi pare un esercizio di puro velleitarismo.

D. - La situazione siriana, in questo momento, destabilizza fortemente l’area. La Turchia può comunque giocare ancora un ruolo?

R. – Il caos siriano è oggettivamente qualcosa di intrattabile e di molto più grande delle attuali potenze e delle attuali garanzie di sicurezza che la Turchia può dare. Non ha margini per portare avanti una politica unilaterale in questi contesti. In Siria si sta combattendo una guerra civile di inaudita ferocia, in cui per procura e per interposta persona si combattono i due grandi nemici del Medio Oriente, cioè Arabia Saudita e Iran. La Turchia può solo pagarne le conseguenze, può limitarsi a cercare di arginare l’ingresso dei terroristi di Al Qaeda sul proprio territorio. Si naviga a vista.

D. - L’economia può essere un collante al di là delle non trasparenze politiche?

R. – Non ci può essere economia, non ci può essere prosperità economica senza sicurezza. Parlare di affari, senza che vi siano situazioni di stabilità e sicurezza nell’area, è fine a se stesso. Finché non si risolve il problema della Siria e non si stabilizza l’Afghanistan, i vantaggi economici non potranno essere apprezzati fino in fondo.

Ultimo aggiornamento: 14 febbraio







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