Conferenza di Ankara: Turchia, Pakistan e Afghanistan lavorano per la pace. A Karachi
ancora un attacco kamikaze
“Una pace sostenibile nel cuore dell'Asia”. E’ la sfida e slogan del trilaterale al
via mercoledì ad Ankara. Seduti intorno ad un tavolo i presidenti di Turchia e Afghanistan,
Abdullah Gul e Hamid Karzai, il premier pachistano Nawaz Sharif e quello turco Recep
Tayyip Erdogan. Previsti fino a domani, una serie d’incontri anche tra i ministri
degli Esteri dei tre Paesi, vertici militari e uomini d'affari. Al centro del summit,
l'ottavo dal 2007, la sicurezza nella regione, la cooperazione a livello economico
e politico. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
In
piena crisi politica, guardando all’Europa, la Turchia ospita l’ottavo summit con
il Pakistan e l’Afghanistan. Sfida centrale: la stabilizzazione dell’area asiatica.
Continui infatti gli attacchi dei terroristi in Afghanistan, Paese che il prossimo
5 aprile andrà alle presidenziali e che vedrà, entro la fine dell’anno, il ritiro
delle truppe di coalizione internazionale. Pesante anche la situazione pakistana
dove i talebani, nonostante la dura repressione del governo, continuano la mattanza
di vite con decine di attentati, oggi un kamikaze ha ucciso 11 persone a Karachi.
Il commento di Pietro Batacchi direttore di Rivista italiana difesa:
R. – E’ un onesto
tentativo, ma che sconta la realtà internazionale. Il significato di questo summit
va letto alla luce di un fatto molto semplice: il disimpegno della Nato dall’Afghanistan,
la mancanza ancora dell’accordo bilaterale sul post-2014 tra lo stesso Afghanistan
e gli Stati Uniti che potrebbe creare un pauroso vuoto di sicurezza. Per cui, alla
luce di questa incertezza è chiaro che ci sono una serie di attori, tra cui la Turchia,
che cercano e cercheranno di riempire in qualche modo questo presumibile vuoto di
sicurezza.
D. – La Turchia è un Paese molto attivo in ambito internazionale…
R.
- In realtà direi che, al di là dell’attivismo, del gran da fare della Turchia sul
piano internazionale, questo ha prodotto pochissimi risultati concreti. La crisi siriana
è uno degli esempi più lampanti. Laddove Ankara cercava una partnership nuova con
Assad, di rilanciare le relazioni tra i due Paesi, si è ritrovata con una bomba di
profughi in casa, si è ritrovata con un aereo F4 abbattuto lo scorso anno dalla contraerea
siriana. I rapporti tra la Turchia e la Siria del presidente Assad sono precipitati.
Per cui c’è un certo velleitarismo nella politica estera turca.
D. - Sia Afghanistan
sia Pakistan si trovano a dover fare i conti pesantemente con il terrorismo…
R.
– Il Pakistan, se combatte i talebani e i pachistani in casa propria, in realtà, in
Afghanistan dà supporto ai talebani. Una volta si chiamava il “grande gioco”; in realtà,
adesso lo potremmo chiamare il “grande teatro delle ambiguità”, per destabilizzare
sostanzialmente chi è il vero supporter del presidente Karzai, ovvero l’India, nemico
giurato del Pakistan. Per cui, se guardiamo anche a questo vertice più che parlare
di chi c’è, potremmo parlare di chi non c’è, ovvero l’Iran e l’India. Il terrorismo
non è che una conseguenza di questa ambiguità, di queste contraddizioni create dalle
stesse politiche estere di Turchia e di Pakistan.
D. – In un contesto del genere
è possibile parlare di stabilizzazione per l’Afghanistan?
R. – Parlare della
stabilizzazione dell’Afghanistan senza chiamare in causa India, Iran e, aggiungo,
Russia, mi pare un esercizio di puro velleitarismo.
D. - La situazione siriana,
in questo momento, destabilizza fortemente l’area. La Turchia può comunque giocare
ancora un ruolo?
R. – Il caos siriano è oggettivamente qualcosa di intrattabile
e di molto più grande delle attuali potenze e delle attuali garanzie di sicurezza
che la Turchia può dare. Non ha margini per portare avanti una politica unilaterale
in questi contesti. In Siria si sta combattendo una guerra civile di inaudita ferocia,
in cui per procura e per interposta persona si combattono i due grandi nemici del
Medio Oriente, cioè Arabia Saudita e Iran. La Turchia può solo pagarne le conseguenze,
può limitarsi a cercare di arginare l’ingresso dei terroristi di Al Qaeda sul proprio
territorio. Si naviga a vista.
D. - L’economia può essere un collante al di
là delle non trasparenze politiche?
R. – Non ci può essere economia, non ci
può essere prosperità economica senza sicurezza. Parlare di affari, senza che vi siano
situazioni di stabilità e sicurezza nell’area, è fine a se stesso. Finché non si risolve
il problema della Siria e non si stabilizza l’Afghanistan, i vantaggi economici non
potranno essere apprezzati fino in fondo.