Bosnia: manifestazioni, l'Ue a Sarajevo. Mons. Sudar: si ripari a ingiustizia di 20
anni fa
Settimo giorno di proteste sociali in Bosnia. Anche ieri a Sarajevo, davanti alla
sede del governo federale, un migliaio di persone ha manifestato chiedendo le dimissioni
del premier e di tutto il governo della Federazione croata-musulmana (una delle due
entità della Bosnia ed Erzegovina), accusato di aver portato il Paese al dissesto
economico. Il partito socialdemocratico del premier, Nermin Nikšić, ha ipotizzato
il voto anticipato, previe modifiche alla legge elettorale, possibilità già rigettata
dalla presidenza della Repubblica Srpska, a maggioranza serba. A Sarajevo, dove resta
molto alta la tensione, dovrebbero arrivare lunedì prossimo il capo della diplomazia
europea, Catherine Ashton, e il commissario all’Allargamento, Stefan Fuele, con l’intento
di porsi come mediatori tra i manifestanti e gli esponenti politici. Ed è proprio
all’Unione Europea che si rivolge l’appello di mons.Pero Sudar, vescovo
ausiliare di Sarajevo, intervistato da Francesca Sabatinelli:
R. - Le tensioni
ci sono da 20 anni. Questo Stato malato, ferito gravemente dalla guerra, ha ricevuto
una medicina sbagliata a Dayton e da quel punto in poi si è sempre più indebolito.
Questa debolezza si è manifestata prima di tutto sulla vita economica e sociale: molte
ditte hanno chiuso, molti lavoratori sono rimasti senza lavoro e quelli che lavorano
non ricevono il salario. La tensione è aumentata e tutto ha avuto inizio. Inoltre,
si sono aggregati coloro che erano frustrati da altri motivi, di tipo etnico, e sono
subentrati anche gruppi che certamente non avevano alcuna soluzione. L’unica cosa
in comune è che sono scontenti del governo e chiedono che si faccia qualcosa. Ma non
sanno cosa proporre. I politici, d’altra parte, accusano di nuovo gli uni e gli altri.
E tutto questo fa sì che la situazione sia molto, molto complicata. Si intravede che
questo Stato non può governare se stesso, non ha la possibilità di uscire da questo
circolo vizioso e quelli che potrebbero aiutare ovviamente non si rendono conto della
situazione e non hanno mai ascoltato le voci che per 20 anni hanno ripetuto di fare
qualcosa per riparare all’ingiustizia fondamentale.
D. - Ingiustizia che lei
ci ha detto nasce dall’Accordo di Dayton. Chi deve riparare?
R. - Colui che
ci ha dato la medicina sbagliata e cioè la comunità internazionale, capeggiata dagli
Stati Uniti, che ha imposto la soluzione di Dayton, che ha diviso questo Paese in
due, creando due Stati in uno Stato, che non possono funzionare in modo democratico
e anche se avessimo politici di buona volontà e capaci, purtroppo non potremmo mettere
in questa cornice un’immagine normale di uno Stato che normalmente funziona.
D.
- Questa protesta sociale, già sfociata in protesta politica con la richiesta delle
dimissioni dei governi locali, c’è il rischio che possa trasformarsi in protesta interetnica?
R.
- La nostra tragedia sta nel fatto che questa protesta non è condivisa da tutte le
parti. Una metà del Paese quasi è indifferente, perché dice: tanto peggio in Federazione,
tanto meglio per la Repubblica Serba (Republika Srpska n.d.r), perché noi così siamo
ancora più indipendenti dato che lì non si può collaborare insieme. D’altra parte,
neppure nelle città dove c’è una maggioranza croata si protesta, perché dicono: “Noi
non abbiamo motivo per protestare”. Allora, non è una protesta comune. Anche questa
protesta conferma la divisione di questo Paese e tutto si riflette sulla vita quotidiana
delle persone: quello che è cominciato come protesta sociale si trasforma in protesta
politica, però non c’è una soluzione.
D. - E nuove elezioni, il voto anticipato,
possono essere la soluzione?
R. - Noi non abbiamo alcuna possibilità di votare
qualcuno che non sia già al potere, che non abbia già dimostrato la propria incapacità.
Le tensioni sempre più crescono e noi siamo sempre più a rischio.
D. - Ma il
rischio è un conflitto come quello di 20 anni fa?
R. - Io non penso questo,
però può succedere peggio. Noi non siamo più capaci di fare la guerra per fortuna,
però questo dimostra anche che non abbiamo alcuna possibilità di rovesciare questo
sistema politico, questa divisione ingiusta. E’ una situazione che non promette niente.
I lavoratori non hanno lavoro, i giovani non hanno neppure la speranza di avere un
lavoro. La situazione è completamente disperata e perciò confusa. Ora, temo di più
l’anarchia che poi non si sa dove finisce, dove va a finire. Solo l’Unione Europea,
con passi ben misurati, ci può aiutare e provare a promettere qualcosa di positivo
come prospettiva per i poveri cittadini della Bosnia ed Erzegovina. Questo ci auguriamo,
ma non so se possiamo anche sperarlo.