A Nanchino storico incontro tra Cina e Taiwan, il primo formale dal 1949
Storico incontro, il primo ufficiale, ieri tra Cina e Taiwan, dopo la guerra civile
e la separazione avvenuta nel 1949. I rappresentati delle due realtà hanno avviato
quattro giorni di colloqui, nella città cinese di Nanchino, che mirano ad aumentare
la comprensione reciproca, i rapporti economici e commerciali e l’istituzione di rappresentanze
internazionali. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Da una parte
la Cina, dall’altra Taiwan. Seduti attorno a un tavolo, ufficialmente per la prima
volta dalla separazione, dopo la guerra civile nel 1949. Di fatto, per ora, nessuna
delle due realtà riconosce l’altra. Pechino considera Taiwan una propria provincia
e non accetta la definizione di Repubblica di Cina. Nanchino però è diventata segno
della volontà di dialogo e confronto. Zhang Zhijun, direttore dell’ufficio cinese
per gli Affari su Taiwan, ha incontrato Wang Yu-chi, capo del Consiglio di Taipei
per i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese. Un appuntamento storico, in un contesto
sobrio, che mira a formalizzare uffici di rappresentanza, rafforzare scambi commerciali
ed economici, già formalizzati nel 2010, e aumentare la comprensione reciproca.
Sugli
incontri di Nanchino, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Fernando
Mezzetti esperto dell’area:
R. – Il fatto
che la Cina popolare organizzi questo incontro tenendolo a Nanchino, è un segnale
importantissimo: era la capitale della Cina nazionalista ci Chiang Kai-shek, sede
centrale del Kuomintang. I colloqui sviluppano una “entente cordiale” che è in atto
da quando a Taiwan è stato messo fuori gioco politico il filone democratico e indipendentista
di Taiwan. Paradossalmente, c’è maggiore intesa tra i nazionalisti del Kuomintang,
che sono tornati al potere a Taiwan con liberissime elezioni, che non tra i nativi
di Taiwan e la Cina popolare, perché i nativi di Taiwan vogliono l’indipendenza formale:
vogliono avere accesso a tutte le istituzioni internazionali, tipo l’Onu, in quanto
Repubblica di Taiwan, e vogliono smetterla comunque di chiamarsi “Repubblica di Cina”.
D.
– Al centro dei colloqui, sia la questione delle rappresentanze internazionali ma
soprattutto il rafforzamento degli scambi commerciali ed economici, formalizzati ufficialmente
nel 2010, ma che in realtà vengono da molto prima…
R. – Gli scambi sono molto
intensi da prima ancora di questo disgelo in atto, sugellato dal fatto stesso che
gli incontri si svolgano a Nanchino. Taiwan ha investito centinaia di milioni di dollari,
ormai dagli inizi degli anni Novanta, a Pechino, e ci sono decine di migliaia di imprese
di Taiwan che operano nella Cina continentale. Quindi, i rapporti economici sono intensissimi,
hanno rivitalizzato l’economia di Taiwan e i taiwanesi hanno contribuito allo sviluppo
economico cinese sia con i capitali sia con il know-how, con la conoscenza
tecnologica in cui Taiwan si è avviata molto prima di Pechino. Per cui, si sviluppano
i rapporti economici e a livello di popoli con i collegamenti aerei che sono stati
istituiti e si sviluppano anche con l’ammissione di Taiwan, sia pure in tono minore,
a certi eventi internazionali: alle Olimpiadi in corso a Sochi c’è la squadra di Taiwan
che si chiama “Taiwan-Cina” e già questo è un’accettazione da parte di Pechino di
un “alter ego” cinese che però riconosce un’unica Cina.
D. – Qual è il futuro,
a questo punto, vista anche la tua esperienza sul terreno?
R. – E’ chiaro che
Taiwan non si riunificherà mai con una Cina autoritaria, quale quella del Partito
comunista che è al potere, e quindi confida in una evoluzione interna del sistema
che è avvenuta dal 1990 in poi. Così come la Cina confida in un avvicinamento e in
una crescente fiducia di Taiwan verso Pechino. La Cina conta di fare con Taiwan ciò
che ha fatto con Hong Kong: per un certo numero di anni, un Paese, due sistemi.
D.
– La leva economica può servire all’unificazione, in questo senso?
R. – La
Cina ha un fortissimo ruolo nella tenuta economica di Taiwan, come base produttiva,
intendo dire, non come consumi, naturalmente. Ma non basterà, l’economia. Se bastasse
l’economia, l’operazione dell’unificazione sarebbe già avvenuta.