75 anni fa la morte di Pio XI. Giovagnoli: un grande Papa missionario
75 anni fa, il 10 febbraio del 1939, moriva Pio XI, al secolo Achille Ratti. Nato
a Desio, in provincia di Monza, il 31 maggio del 1857, ricoprì vari incarichi come
sacerdote. Fu nunzio in Polonia durante l’invasione sovietica, arcivescovo di Milano
e il 6 febbraio del 1922 venne eletto Papa con il nome di Pio XI. I 17 anni del suo
Pontificato vengono ricordati per la firma dei Patti Lateranensi nel 1929, per aver
voluto la Radio Vaticana, inaugurata nel 1931 alla presenza di Guglielmo Marconi e
per le importanti Encicliche. Per tracciare un profilo di Pio XI, Debora Donnini
ha sentito Agostino Giovagnoli, professore di storia contemporanea all’Università
Cattolica di Milano:
R. – Pio XI
è stato un uomo molto coraggioso e questo è diventato anche un tratto del suo Pontificato:
l’idea era appunto di una forza della Chiesa, che deve far sentire la sua voce e non
deve cedere di fronte alle potenze di questo mondo.
D. – Sotto il suo Pontificato
avviene un evento centrale. L’11 febbraio del 1929 vengono sottoscritti i Patti Lateranensi:
la Santa Sede riconosce il Regno d’Italia sotto la dinastia di casa Savoia e, a sua
volta, l’Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del
Sommo Pontefice. Quanto la personalità di Pio XI ha influito su questo?
R.
– Sulla conciliazione la personalità di Pio XI è stata decisiva. Ha avuto anche qui
un grande coraggio. I suoi predecessori avevano rotto con lo Stato italiano e anche
se man mano si erano delineate delle spinte conciliariste, nessuno aveva avuto il
coraggio di realizzare questa conciliazione. Quindi, anche qui è un Papa innovatore
e, direi, che ha chiuso la “questione romana” in tempi che, da un punto di vista storico,
sono brevi. In fondo non erano passati molti anni dal 1870. Poi, c’è naturalmente
l’altra faccia della medaglia, e cioè il fatto che questo accordo sia stato fatto
con Mussolini, col fascismo, e questo gli è stato molto rimproverato. Bisogna, però,
tener conto che, questo aspetto, nella visione di Pio XI, era secondario: per lui
ciò che contava erano le grandi questioni, i grandi problemi, e il resto passava in
secondo piano.
D. – Pio XI poi nel ’31 con l’Enciclica “Non abbiamo bisogno”
interviene anche nei confronti del Governo italiano, che ha sciolto le associazioni
giovanili e universitarie dell’Azione Cattolica. Quindi, c’è una presa di posizione?
R.
– Sì, certamente, fa parte dello spirito combattivo di questo Papa. Avere fatto un
accordo non significava per lui avere chiuso tutte le questioni. Direi, però, che
la svolta avviene intorno alla metà degli anni ’30, quando si rende conto che i grandi
poteri totalitari del nazismo, e in qualche modo anche il fascismo, in fondo stanno
preparando l’Europa alla guerra.
D. – Questo si vede con la “Mit brennender
Sorge”, con questa Enciclica, con cui interviene contro il Reich nazista e poi con
la “Divini Redemptoris” contro il comunismo ateo dominante in Russia...
R.
– Pio XI aveva tentato fino alla fine, in qualche modo, un accordo con l’Unione Sovietica.
Il suo stretto collaboratore, Eugenio Pacelli, viene coinvolto fin verso la fine degli
anni ’20 in questi tentativi, che poi falliscono, perché c’è una sordità sovietica
totale. Ma è abbastanza interessante che Pio XI abbia tentato appunto questo accordo
e poi abbia invece assunto una posizione totalmente ferma nella condanna del comunismo
ateo. Il rapporto con il nazismo ovviamente ha avuto una dinamica diversa, ma appunto
questa Enciclica del ’37 è molto importante, come importante è anche l’Enciclica che
è stata preparata contro il razzismo, contro l’antisemitismo, che poi, per la morte
del Papa, non ha mai visto la luce. E’ comunque indicativa di questo suo atteggiamento,
di cui rimane l’espressione forse più famosa quella frase: “Siamo tutti spiritualmente
semiti”.
D. – Non si può dimenticare la sua grande attenzione al mondo della
comunicazione. Il 12 febbraio del 1931 inaugura la stazione della Radio Vaticana inviando
a tutti in latino il messaggio “Qui arcano Dei”. Questo grande segno di attenzione
alla comunicazione dà l’idea di come Pio XI fosse attento al mondo moderno?
R.
– Non c’è dubbio. Questa apertura al mondo moderno è molto significativa ed è anche,
credo, significativa appunto questa apertura che è avvenuta nel campo della comunicazione.
Qui c’è tutta la sensibilità anche alla trasmissione di un messaggio che deve arrivare
il più lontano possibile, come riesce a fare la Radio Vaticana. Voglio dire, c’è un
senso missionario. E, del resto, Pio XI è stato un grande Papa missionario, che ha
guardato all’Africa, alla Cina con tanta attenzione e vedeva in questi nuovi mezzi
di comunicazione una possibilità ulteriore per la Chiesa di raggiungere tutti i popoli.