2014-02-08 20:31:14

Illmitz: con la pubblicazione dell'opera prima di Susanna Tamaro si apre una fase nuova per la scrittrice triestina


Aveva suscitato l'apprezzamento di intellettuali come Claudio Magris e Giorgio Voghera, colpiti dallo stile scarno, sincopato, antiaccademico dell'allora giovane scrittrice triestina, eppure non fu mai pubblicato. Esce dunque ora, Illmitz, l’opera prima di Susanna Tamaro, scritto nel 1982 e rimasto per oltre 30 anni chiuso nel cassetto. Illmitz è la storia del viaggio di un giovane alla scoperta delle proprie origini, che diventa anche indagine interiore, attraverso la propria memoria e i propri fantasmi. “C’è in nuce tutto il mio mondo” riconosce l’autrice: in Illmitz si trovano infatti il dolore, la solitudine, il disagio esistenziale, l’inquietudine, l’incapacità di amare, temi al centro del suo universo narrativo. Illmitz, dunque, uno stato d’animo, oltre che un luogo geografico? Adriana Masotti lo ha chiesto alla stessa Tamaro:RealAudioMP3

R. – Sì, sicuramente! Lo stato d’animo di chi vive sul confine, perché Illmitz è una località che si trova sul confine, il confine tra l’Austria e l’Ungheria, che in quegli anni – erano gli anni Ottanta – era un confine anche tra l’Occidente e l’Oriente, fra il comunismo e la società – diciamo – libera ed occidentale. E poi è un confine anche di tante altre cose: il confine dell’adolescenza e dell’età più matura; il confine tra la poesia e la non poesia… Già nel nome stesso di Illmitz, che è il nome reale del luogo dove ho scritto il libro, mi sembrava ci fosse in qualche modo l’assonanza con “limite”. Dunque è una serie di confini Illmitz.

D. – “C’è tutto il mio mondo”, lei ha detto, parlando di questo libro. E, infatti, c’è il dolore, la solitudine, la paura della violenza, l’incapacità di amare: i temi che poi, nella sua successiva produzione letteraria, ritornano, magari approfonditi…

R. – Questo è un libro che ho scritto – diciamo – praticamente all’asilo, perché avevo 22 anni quando l’ ho scritto. Rileggendolo – non l'ho riletto per 30 anni – mi è capitato di accorgermi che, in realtà, conteneva insieme tutto quello che poi è esploso nei 20 libri che sono seguiti. E’ stato un libro molto compatto, molto stringato; però tutto l’universo di domande, di dolore, di domande anche sulla fede e sul mistero, sulla morte sono perfettamente già contenute in questo libro. In questo senso è molto interessante leggerlo - anche per me - perché ho visto come in realtà tutto il mio lavoro è legato da un filo rosso misterioso.

D. – “Io sono un clandestino”: questa la frase con cui finisce il libro. Un clandestino della vita, immagino…

R. – Sì, praticamente è la professione di fede nella letteratura, perché uno scrittore è sempre, in fondo, un clandestino della vita: una persona cioè che guarda la vita, che l’analizza, che entra nella vita in modo diverso dalle altre persone. Insomma, c’è questo talento particolare che pone sempre ad essere molto dentro e molto fuori.

D. – Lei in un’intervista ha detto di essersi sempre misurata con il dolore e con il male e che ora vuole esplorare il mondo del bene. Significa che la pubblicazione di questa opera prima chiude un cerchio e apre un nuovo capitolo?

R. – Sicuramente, l’ho pubblicato perché l’ultimo libro che ho scritto: “Ogni angelo è tremendo” terminava proprio con la stesura di Illmitz. Dunque, a questo punto, mi sembrava giunto il momento di pubblicarlo proprio per chiudere il cerchio, per vedere la coerenza che c’era stata dentro questi 20-21-22 libri, no? Adesso, però, sento proprio che pubblicando questo ho finito una parte della mia opera: la parte più pesante anche, la parte dell’elaborazione del dolore, del rapporto col male, dell’indagine sulle fragilità. Ora mi sento in una fase della vita in cui ho molta voglia, invece, di lavorare sulla fantasia, che è una parte per me molto importante – si capisce che c’è, perché già in Illmitz ci sono molti passaggi di fantasia e tutti i libri per bambini confermano che sono un autore che ha una grande parte fantastica – ma che finora ho usato veramente poco. Dunque penso di aprirmi alla parte fantastica e al racconto anche del mistero del bene.

D. – Che non è una cosa molto semplice, anzi forse ancora più difficile …

R. – E’ difficilissimo! E’ una cosa che di solito la letteratura ha aborrito, ma io credo che sia invece molto importante, perché c’è un mistero del bene nella vita, che forse, appunto, a vent’anni non si vede, a quaranta non si vede, ma vicino ai sessanta si può anche incominciare ad intravedere. E penso che sia una grandissima sfida raccontare questo mistero del bene.

D. – Illmitz esce a vent’anni da “Va’ dove ti porta il cuore”: come vive lei questo anniversario e contemporaneamente l’uscita dell’opera prima?

R. – Questo è proprio qualcosa che per me è molto strano. Mi sembra di aver scritto ieri “Va’ dove ti porta il cuore”… E’ un libro per me sempre presente, perché tutti me ne scrivono, me ne parlano, dunque è come se fosse uscito l’altro ieri. E’ interessante che 20 anni dopo sia uscito Illmitz, perché – proprio come dicevo prima – questo chiude un po’ tutta la sinfonia dei miei primi 30 anni di scrittura. Comunque “Va’ dove ti porta il cuore” è stato il libro più conosciuto, ma anche più misconosciuto: in realtà il fatto che sia stato un libro così famoso, lo ha anche fatto leggere male a molte persone. In realtà è un libro che ha diversi livelli di profondità, anche di profondità spirituale, che non sono stati molto indagati e che, forse, hanno dato anche un certo fastidio.







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