2014-02-08 14:02:29

Giorno del ricordo per le vittime delle foibe. Mons. Crepaldi: "non alimentare odii"


“Per troppo tempo si è cercato di far dimenticare e questo non deve più avvenire''. Il presidente del Senato Piero Grasso, davanti alla foiba di Basovizza a Trieste, ha parlato del dramma che vissero migliaia di istriani e dalmati negli anni a cavallo della fine della seconda guerra mondiale. Significativo anche l'intervento dell'arcivescovo di Trieste, mons. Crepaldi. Lunedì scorso infatti, si è celebrato il Giorno del ricordo per le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Alessandro Guarasci RealAudioMP3


Solo da qualche anno a questa parte gli italiani cominciano a percepire il dramma delle foibe. La legge che istituisce la Giornata del Ricordo venne approvata nel 2004, in memoria di quei 10 mila italiani vennero trucidati dalle milizie di Tito, perché non croati o perché considerati nemici per vari motivi. Non meno di 350 mila, poi, dovettero lasciare le loro case. Il presidente del Senato Piero Grasso, di fronte alla foiba di Basovizza, vicino a Trieste, ha detto che bisogna “stare uniti nella difesa dei nostri valori”, bisogna “unire non dividere''. A Basovizza l'arcivescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi ha detto che “Conservare e rinnovare la memoria non significa continuare ad alimentare odii e recriminazioni, che ormai sarebbero ingiustificati sul piano morale e anche sul piano storico. Conservare e rinnovare la memoria - ha detto il presule - significa piuttosto andare, con sincerità e chiarezza, alla ricerca delle ragioni - ideologiche, culturali e politiche - che hanno alimentato la violenza, la sopraffazione, la morte di tanti fratelli e sorelle. La ricerca e il dibattito politico e storiografico sull’entità e le cause degli infoibamenti, cioè dell’uccisione di migliaia di uomini e donne, tra cui anche numerosi preti cattolici, ad opera prevalentemente di partigiani titini e di esponenti comunisti, sono tuttora molto vivi sia nelle zone di confine italiane coinvolte nel fenomeno, sia nei confinanti stati croato e sloveno. Quando in Europa si è rispettato la persona umana, considerata nella sua dimensione integrale, si sono scritte pagine gloriose di solidarietà e di pace; quando in Europa si è disprezzato la persona umana si è stati travolti dall’odio della guerra e dalla decadenza morale" ha affermato mons. Crepaldi. E nella giornata di lunedì non sono mancati atti vandalici. È successo a Venezia, in piazzale Marghera, dove un monumento è stato sporcato con vernice rossa e disegni di falce e martello, e anche a Roma, vicino alla stazione del metro Laurentina, dove è stata usata della vernice bianca. Atti duramente condannati dal governo.

Dunque, solo dal 2004, in memoria delle vittime della foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale, l’Italia istituisce ogni 10 febbraio la solennità nazionale e civile del "Giorno del Ricordo". La riflessione di Carla Isabella Elena Cace, esule di terza generazione, autrice del libro “Foibe ed Esodo. L’Italia negata. La tragedia giuliano-dalmata a dieci anni dall’istituzione del 'Giorno del Ricordo'” edito da Pagine, membro dell'"Associazione Nazionale Dalmata” e del “Comitato 10 febbraio”:RealAudioMP3

R. – Sono esule di terza generazione, nipote di Manlio Cace, un patriota che visse primo e secondo esodo. Mio nonno ha raccolto diverso materiale fotografico dei campi di concentramento titini, dove erano detenuti tantissimi italiani.

D. – Ci aiuta a ricostruire, anche attraverso la testimonianza di suo nonno, l’orrore di quegli anni?

R. – Io faccio sempre un paragone: è come se nel Lazio di colpo si dicesse a tutti: “Guardate, voi d’ora in poi siete tedeschi! Dovete parlare tedesco. Cambiamo le scritte di tutti i negozi. Se voi non fate questo o verrete uccisi oppure vivrete nel terrore”. Questo è avvenuto in una regione che, a tutti gli effetti, era una regione d’Italia. Le fasi degli “infoibamenti” sono due: ’43 e ’45. Quelli del ’43 ancora con la guerra in corso e quelli del ’45 a guerra finita. In quest’ultimo caso si parla, quindi, di crimini contro l’umanità e non crimini di guerra. Tutte le persone rappresentative, tutti coloro che rappresentavano lo Stato italiano - sindaci, dipendenti comunali, parroci, intellettuali, medici e quant’altro - erano i primi ad essere ricercati e perseguitati, perché svolgevano un ruolo di collante della collettività. Senza processi o con processi farsa del cosiddetto Tribunale del Popolo, venivano presi, torturati molto spesso e poi gettati in queste cavità carsiche, caverne verticali, precipizi - le foibe - affinché sparisse proprio tutto di loro. Venivano distrutti anche i loro documenti.

D. – E colpisce anche il sadismo con cui venivano gettati nelle foibe...

R. – Solitamente, per risparmiare le pallottole, venivano legati a gruppi di dieci con fili di ferro, gli uni agli altri, sempre nudi, perché gli si toglieva tutto - gli abiti e la dignità – e si sparava al primo: questo col peso morto praticamente trascinava nella foiba le persone vive, che magari morivano anche dopo due o tre giorni. Nel libro ho anche pubblicato l’unico documento di una perizia medico-legale, condotta su una serie di corpi recuperati dalle foibe. Si capisce che queste persone sono morte anche dopo due o tre giorni con le ossa rotte, nudi, di dolore, dentro questi abissi.

D. – Anche in ragione della profondità di queste cavità, è stato difficile poi quantificare il numero delle vittime...

R. – Assolutamente. Consideriamo intanto che un’analisi è stata fatta solo sulle foibe sul territorio italiano, che sono comunque una piccola percentuale rispetto a tutte quelle che sono disseminate sul territorio croato e sloveno e sulle quali ancora non è stato condotto – e penso mai lo sarà – alcun tipo di indagine.

D. – Quest’anno ricorrono i 10 anni dalla istituzione, nel 2004, del giorno del ricordo...

R. – Certamente l’istituzionalizzazione di un giorno per ricordare queste vittime ha squarciato tanti veli. E’ chiaro, però, che in 10 anni non si può compensare il silenzio di 60 anni. E poi recentemente si avverte una minore attenzione. Basti pensare anche ai tagli del sindaco Marino a Roma ai “viaggi del ricordo” alla foiba di Basovizza, che è stato un segno, secondo me, molto negativo, considerando che ci troviamo nell’anno di celebrazione del decennale della legge e che siamo la capitale d’Italia e quindi abbiamo anche un dovere simbolico, di traino. Il rischio è quello di passare dal negazionismo al riduzionismo del fenomeno.

D. – 60 anni di silenzio, perché?

R. – Perché noi abbiamo perso la guerra, la situazione era difficile e sicuramente la Jugoslavia di Tito era una realtà strategica, che faceva da cuscinetto tra Occidente ed Urss. Diciamo quindi che si è sacrificata, per gli interessi internazionali, la dignità dei nostri morti. C’era poi anche il discorso ideologico, comunque, del partito comunista, che non ha mai voluto accettare questi eccidi, perché la liberazione non poteva portare ad aberrazioni. E invece i partigiani comunisti di Tito hanno compiuto l’eccidio più grande della storia della nazione, dopo l’unità d’Italia.

Ultimo aggiornamento: 12 febbraio







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