Attaccati i maggiori centri del potere in Bosnia: 200 feriti nella giornata di proteste
contro la disoccupazione
Calma ricca di tensione in Bosnia Erzegovina dopo la giornata di forti proteste e
tumulti, in particolare nelle città di Tuzla, Zenica, Sarajevo e Mostar. La protesta,
che ha carattere sociale, ha provocato 200 feriti, di cui più della metà poliziotti,
e ha preso di mira i palazzi del potere. Decine gli arresti fra i dimostranti.Il
servizio di Fausta Speranza: 00:00:59:45
6mila persone in
8 città contro la disoccupazione che raggiunge il drammatico tasso del 46%. E per
la prima volta nella Bosnia del dopoguerra si vedono sfilare persone senza distinzioni
fra una comunità etnica e l'altra. Il motivo è sociale. In prima linea, gli operai
di diverse aziende locali che in passato davano lavoro a migliaia di persone, e che
oggi sono sull’orlo del fallimento. Il punto è che ci sono state privatizzazioni ritenute
selvagge. E a quasi 20 anni dalla fine della guerra, durata dal 1992 al 1995, non
si è raggiunto nemmeno il livello di sviluppo che c’era prima del conflitto. L’obiettivo
sono i centri di potere, anche a Banja Luka dove i manifestanti si limitano a scandire
slogan davanti alla presidenza della Republika Srpska. Ben diversa la portata della
protesta altrove. A Mostar incendiata la sede del governo cantonale, quella dell'amministrazione
cittadina e il municipio. Demolita anche la sede dell'Hdz (il maggiore partito croato)
e incendiata la sede dell'Sda (il maggior partito musulmano) situata nel più stretto
centro storico. A Sarajevo, attacco al palazzo della presidenza collegiale. A Tuzla,
da dove è partita la protesta, c’è stata irruzione nel governo cantonale e distruzione
di documenti.
Si parla di un 20% della popolazione in Bosnia Erzegovina al
di sotto della soglia di povertà. A Sarajevo Francesca Sabatinelli ha raggiunto
telefonicamente Azra Ibrahimovic, coordinatrice per la Ong Cesvi della Casa
del sorriso di Srebrenica: 00:03:21:79
R. – Quello che sta accadendo
- soprattutto nelle grandi città come Sarajevo, Tuzla, Mostar, Bihac, Zenica - sono
grandi proteste organizzate dalla gente che ormai non ce la fa più a vivere: sono
le condizioni socio-economiche che hanno spinta a questa mossa disperata di uscire
in strada e di protestare contro il malessere che molti cittadini della Bosnia-Erzegovina
– purtroppo! - stanno vivendo in questo momento.
D. – Sappiamo che il popolo
sta manifestando violentemente contro un tasso di disoccupazione altissimo; altrettanto
alto è il livello di povertà. Le voci che ci giungono da lì - le voci degli intellettuali
e dei leader della protesta - parlano di una “primavera bosniaca”. Questo è quello
che le persone stanno pensando?
R. – Gran parte dei cittadini pensono a questo.
Anzi gli intellettuali – tra virgolette – sperano che sia la “primavera bosniaca,
perché ormai siamo arrivati ad un momento critico, dove la situazione economica non
sta facendo alcun progresso nel Paese, anzi sta regredendo sempre di più, causando
grossi disagi sociali. La maggior parte della gente che uscita in strada è rappresentata
proprio dai lavoratori. I diritti qui sono negati, i diritti di base sono negati:
il diritto al lavoro, il diritto ad avere uno stipendio, il diritto ad una assicurazione
sanitaria, il diritto ad una pensione. Quindi si tratta proprio di quei diritti che
garantiscono l’esistenza di una persona e di una famiglia. Ecco, cosa prevalentemente
ha spinto la gente ad uscire in strada.
D. – Non si può non ricordare che
sono 20 anni dalla sanguinosa guerra che ha devastato il tuo Paese: chi combatteva
uno contro l’altro, si ritrova oggi unito perché queste proteste sono di tutti i bosniaci?
R.
– E’ il colore che è uguale per tutti i bosniaci: il colore dei diritti che non sono
rispettati; il colore della disoccupazione… Nella stessa situazione si trova sia il
bosniaco musulmano che il croato, che il serbo: sono i problemi che ci hanno riuniti
per le strade di Sarajevo! Durante le proteste ho visto la gente che portava tre bandiere
insieme: la bandiera serba, la bandiera croata e la bandiera bosniaca attaccate una
all’altra, con la scritta: “In questo siamo tutti uguali!”. Infatti le proteste sono
cominciate anche a Banja Luka, a Prijedor… Quindi un po’ in tutta la Bosnia-Erzegovina.
D. – Le autorità politiche stanno cercando di parlare al popolo?
R.
– Ormai fa poco effetto! Quello che la gente chiede sono le dimissioni di tutti i
governi cantonali. Quindi una delle richieste – oltre al rispetto dei diritti umani
di base – è anche quella della rassegnazione delle dimissioni di tutti i governi,
partendo dal livello federale fino al livello cantonale. Alcuni primi ministri dei
governi cantonali hanno già annunciato le loro dimissioni, ma ancora si aspettano
le reazioni a livello federale.