Mutilazioni genitali femminili, pratica molto diffusa anche in Italia
Ieri la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. Per contrastare
il fenomeno - diffuso soprattutto in Africa sub-saharaiana, Egitto ed Asia - occorre
informare, educare e sensibilizzare a una nuova cultura, che coinvolga anche l'Italia,
dove la partica è diffusa tra le immigrate ma dove si riscontra, allo stesso tempo,
una generale carenza di sensibilità sul tema. lo spiega Tiziana Fattori, direttore
internazionale di Plan Italia, al microfono di Maura Pellegirni Rhao:
R. - Abbiamo
lanciato la petizione il 23 gennaio. Speravamo di raccogliere molto velocemente cinquemila
adesioni, ma purtroppo siamo fermi a duemila. Riteniamo che la ragione principale
sia perché in Italia questo tema risulta fastidioso, pensando che sia un tema lontano,
che non ci tocchi, e quindi non viene considerato importante e prioritario. Ma invece
lo è: dei tre milioni di bambine che ogni hanno vengono sottoposte alla mutilazione
femminile, molte di loro sono figlie di famiglie emigrate anche in Italia.
D.
– Gli ultimi numeri dicono che in Italia ci sono 40 mila vittime per tale pratica
ed è il numero più alto in Europa...
R. – E’ vero. Questa pratica viene fatta
ovviamente in clandestinità, perché in Italia per fortuna ci sono pene severissime.
Ma noi di Plan Italia sappiamo bene che le leggi non sono un deterrente sufficiente.
La pratica avviene in clandestinità, oppure durante un breve soggiorno nel Paese di
origine, dove la bambina viene sottoposta alla mutilazione dei genitali e poi rispedita
in Italia. Quindi, dobbiamo veramente coinvolgere il più possibile i media italiani,
il pubblico italiano e soprattutto, direi, le donne italiane a lavorare con noi, a
fare in modo che si raggiunga presto questo numero di cinquemila sottoscrittori della
nostra petizione e permetterci di andare tutte insieme a portare questo risultato
al governo italiano. Al governo chiediamo di fare pressione sui governi dei Paesi
dove questa pratica viene purtroppo ancora fatta, soprattutto in Africa Subsahariana,
in Egitto ed in alcune zone dell’Asia affinché si adoperino ad abolirla.
D.
– Cosa si può fare per sensibilizzare e creare una nuova cultura intorno a questo
problema?
R. – La prima cosa da fare è parlarne, fare in modo che emerga affinché
si comprenda che la pratica delle mutilazioni genitali comporta alle bambine conseguenze
terribili – sempre che sopravvivano – per il resto della vita. È una tradizione che
non c'entra nulla con la religione: in molte zone, tipo in Guinea, viene vista come
un rito di iniziazione, passaggio dall’età infantile all’età adulta. Viene anche vista
come un modo per preservare l’integrità della bambina fino al matrimonio. Quindi,
dobbiamo operare a questi livelli per cercare di far comprendere che esistono cerimonie
di iniziazione alternative. Noi l’abbiamo fatto con successo in Burkina Faso, dove
abbiamo lavorato molto bene a livello dicomunità, abbiamo creato cerimonie
alternative e in molti villaggi dove lavoriamo le mutilazioni genitali non vengono
più praticate. Importante soprattutto l’educazione: mandare le bambine a scuola, renderle
consapevoli, sensibilizzarle su questo tema e fare in modo che si ribellino affinché
non si sottopongano più a questa pratica. Lavorare anche con i “decisori” della comunità
– donne e mamme – affinché non facciano praticare sulle figlie quello che hanno subito
loro quando erano bambine.