Malattie rare. I bimbi dalle “ossa di vetro” chiedono aiuto: una Moc al Policlinico
Umberto I
Bambini piccoli, anche neonati, che rischiano di fratturarsi con un banale movimento.
E genitori costretti a vivere un dramma quotidiano. È questo le scenario che coinvolge
le persone affette da “osteogenesi imperfetta”. Si tratta di una malattia rara, che
da 12 anni ha un efficiente presidio di ricerca, diagnosi e cura nel Policlinico romano
Umberto I. Per poter visitare in ambiente protetto i piccoli pazienti, il reparto
ha urgente bisogno di dotarsi di una Moc, un apparecchio che misura la densità ossea,
e per realizzare l’obiettivo l’Associazione “Il sogno di Federica” – che unisce i
pazienti colpiti da osteogenesi e i loro familiari – ha lanciato una campagna di sensibilizzazione.
Al microfono di Alessandro De Carolis, il responsabile del presidio ospedaliero,
il dott.Mauro Celli, parla della malattia e si appella alla generosità
collettiva, perché contribuisca a regalare agli ammalati una possibilità in più per
una vita migliore:
R. – L’osteogenesi
imperfetta è una patologia rara. E’ caratterizzata da un interessamento sia scheletrico
che extrascheletrico, ma la parte più importante è la parte scheletrica. Questi bimbi
che una volta venivano chiamati “i bambini dalle ossa di vetro”, sono bambini che
vanno incontro a fratture spontanee. Spontanee vuol dire anche in completa assenza
di un trauma, anche lieve: abbiamo bimbi che riescono a fratturarsi alla nascita anche
al solo cambio del pannolino.
D. – Come molte di queste patologie, chi ne è
colpito è vittima di una fragilità forse ancora peggiore: quella dell’esclusione sociale,
che si ripercuote anche sulle famiglie. Anche questo ha bisogno delle vostre cure…
R.
– Questo noi lo definiamo il dramma nel dramma, perché tutto l’aspetto psicologico
delle famiglie è veramente drammatico. Il momento più particolare per questi pazienti
è quando noi dobbiamo dire alle famiglie che i loro bambini sono affetti da osteogenesi
imperfetta. Ora, possiamo avere due tipi di condizione. Una prima condizione è quella
per cui, essendo queste malattie genetiche, vuol dire che uno dei genitori ne è affetto:
a quel punto ci troviamo di fronte a una famiglia già lacerata da un dramma per tutta
la vita, che può essere della madre o del padre, e che quindi rivive il dramma su
questo bambino. L’altro aspetto, invece, è quello di una famiglia in cui ci troviamo
di fronte a un bambino che è una nuova mutazione, e in genere queste sono le forme
ancora più gravi di osteogenesi imperfetta. Qui, si tratta di spiegare a una famiglia
come, con una serie di interventi terapeutici, una serie di interventi clinici mirati
a ridurre delle fratture e mirati ad aumentare la capacità muscolare di questi pazienti,
possiamo dare una vita “decente” a questi bambini. Perché dico “decente”? Perché le
forme molto gravi, nella maggior parte dei casi, terminano con una vita su sedia a
rotelle.
D. – Abbiamo parlato di bambini affetti da questa patologia: lei ne
conosce molti, conosce il loro coraggio, quello delle loro famiglie… C’è una storia,
tra le altre, che porta nel cuore?
R. – Le storie che si potrebbero raccontare,
di questi bimbi, sono tante. Una storia che non solo io ma tutta la mia équipe portiamo
nel cuore, è la storia di Emanuele. Emanuele è un bimbo che è nato con una serie di
fratture, 22 fratture alla nascita. Emanuele non riusciva a muovere neanche un dito.
Pian piano, abbiamo iniziato la terapia – a quel tempo, ancora erano sperimentali
– con i bifosfonati. Emanuele ha iniziato, lentamente a ridurre il numero delle fratture,
però grandi fratture a carico degli arti superiori e inferiori ancora continuavano
a esserci. L’immagine più bella di Emanuele è quando lui ha iniziato a parlare – noi
abbiamo conosciuto Emanuele quando aveva 10 giorni – e l’unica cosa che diceva alzando
il dito indice, riuscendo a muovere solo il dito indice, era: “Non volo”. “Non volo”
per Emanuele indicava che lui non voleva essere toccato da nessuno quando aveva delle
fratture. Le uniche persone che riuscivano a toccarlo eravamo io e la mia collega,
la dottoressa Zambrano, per cui lui aspettava anche ore che noi arrivassimo, da qualunque
parte noi fossimo. Emanuele ha continuato la sua vita tra una serie di fratture, terapie,
fisioterapie. Emanuele aveva, come molti pazienti con osteogenesi imperfetta, purtroppo
un’ipertermia: significa che loro vanno incontro a profuse sudorazioni e a una febbre
elevata, 40°-42°… Ancora lo ricordo: io ero in Pronto soccorso, una sera, erano circa
le 21, le 21.30, ero al termine del mio servizio. Il papà di Emanuele mi ha chiamato
dicendo che Emanuele aveva la febbre molto alta. Noi lo abbiamo fatto venire in Pronto
soccorso, abbiamo eseguito tutti gli esami ematochimici, abbiamo cambiato il gesso
– Emanuele aveva avuto un intervento all’omero – lo abbiamo riportato in Pronto soccorso
e abbiamo tranquillizzato il papà. Gli abbiamo detto: “Guarda, è la solita febbre
di Emanuele, non ti preoccupare, è conseguente a una frattura”. Emanuele, in quei
momenti, mi ha detto: “Mauro, io con il piedino ho toccato la base della piscina”:
Emanuele aveva sette anni, non era mai riuscito a camminare. Attraverso una serie
di interventi, aveva toccato la base della piscina: questo, per lui, voleva dire volare,
raggiungere un sogno. Emanuele quella sera è tornato a casa e purtroppo il papà, dopo
sei ore, ci ha chiamato per dirci che Emanuele era deceduto a seguito di questa ipertermia
maligna. Quindi, se questa è una storia che può essere triste per noi, è una storia
che ha lasciato il segno in noi, perché non siamo riusciti a far raggiungere a Emanuele
quel sogno che lui aveva: quello di correre, di camminare come tanti altri bambini.
D.
– Certamente, però, ora con il vostro lavoro siete protesi a far sì che questo sogno
sia realizzabile per tanti altri bambini. E a questo stesso scopo si è costituita,
alcuni anni fa, l’Associazione “Il sogno di Federica”, che sostiene il vostro lavoro
nel presidio al Policlinico Umberto I. E un’iniziativa che sta promuovendo da qualche
tempo è quella di procurare al vostro reparto un apparecchio per voi indispensabile,
cioè una Moc. Di che cosa si tratta?
R. – Per noi la Moc – che poi è la densitometria
minerale – è l’apparecchio che ci permette di monitorare le terapie che noi facciamo
a questi bambini. Già ci sono macchine per la Moc al Policlinico, però non sono macchine
dedicate esclusivamente all’età pediatrica. E soprattutto, non sono ubicate in Clinica
pediatrica, ma dislocate nel nostro servizio di Radiologia centrale. I nostri bimbi
non possono stare a contatto con pazienti adulti o con altri pazienti, perché rischiano
di fratturarsi: basta che vengano urtati, cadono e si fratturano. Quindi, questa macchina
dovrebbe essere messa nel nostro istituto di Clinica pediatrica, in ambiente protetto
e quindi essere utilizzata esclusivamente per i bimbi con la displasia scheletrica.
Qual è il nostro appello? Il nostro appello è che la bontà delle persone che ci stanno
ascoltando ci aiuti, donando qualcosa per l’acquisto di questa Moc. Basta entrare
sul sito www.ilsognodifederica.it e si può fare una donazione. Anche un euro è sicuramente
un euro donato per dare questa felicità e per realizzare il “sogno di Federica”.