Siria. Difficile l'accordo a Ginevra. Domenico Quirico: si rischia "somalizzazione"
In Siria non si arrestano gli scontri, mentre l’Organizzazione internazionale Human
Rights Watch, ha accusato il regime di Bashar al-Assad di aver ''cancellato interi
quartieri con bulldozer ed esplosivi. Intanto a Ginevra il primo round del negoziato
di pace si avvia alla fase finale, senza passi in avanti significativi. Massimiliano
Menichetti:
A Ginevra questo venerdì si chiude il primo round di negoziati
tra opposizione e regime siriano seduti intorno ad un tavolo dopo tre anni di combattimenti
che hanno ucciso 130mila persone. 114 nelle ultime 24 ore. Per ora nessun accordo
è stato siglato, neanche sul fronte umanitario. Il mediatore internazionale, Lakhdar
Brahimi, ostenta ottimismo e ribadisce che le parti "stanno ancora parlando”. Speranze
sono riposte nella seconda tornata d’incontri che potrebbe partire già la prossima
settimana. In questo scenario l’organizzazione internazionale Human Rights Watch,
accusa il regime di Assad di aver ''cancellato interi quartieri” con bulldozer ed
esplosivi: 140 ettari situati nella provincia di Hama e attorno Damasco. Intanto l'Onu
è riuscita questo giovedì a far entrare aiuti alimentari nel campo profughi palestinese
di Yarmuk, a sud della capitale: 20mila le persone affamate e strette dalla morsa
del freddo in una zona contesa tra opposizione e militari. Drammatica anche la situazione
dei sequestri in Siria, sarebbero oltre 20mila i rapiti, tra i quali padre Paolo Dall’Oglio,
scomparso nel luglio scorso a Raqqa. Domenico Quirico inviato speciale de La
Stampa, sequestrato per 152 giorni, nel 2013, in Siria:
R. - Padre dall’Oglio
è un testimone ma anche un uomo che ha parlato a favore di una rivoluzione che risale
a tre anni fa. Nel frattempo, la situazione è profondamente cambiata: sul terreno
sono arrivati attori che prima non c’erano, ad esempio i jihadisti, o i gruppi delinquenziali
travestiti da gruppi rivoluzionari che hanno radicalmente modificato la situazione,
hanno modificato la nostra analisi ed anche i rischi che si corrono a condividere
il dolore e la sofferenza dei siriani. Oggi in Siria ci sono 22 milioni di ostaggi,
da una parte e dall’altra; ostaggi di guerra, dell’orrore, della violenza…
D.
– Tante e contraddittorie sono le notizie sulla sorte dei rapiti in Siria…
R.
– E’ importante capire chi ha rapito chi, perché se uno cade nelle mani di un gruppo
jihadista è una cosa; se uno capita nelle mani di un gruppo di delinquenti/rivoluzionari
a cui si aggiunge l’esistenza - di cui non ho le prove ma è quasi certa - di gruppi
“governativi” travestiti da gruppi jihadisti – perché oggi in Siria è possibile anche
questo – allora il problema cambia. Essere preso dall’uno e dall’altro modifica radicalmente
le probabilità di uscirne; cambia la durata del sequestro, le condizioni del sequestro…
Ci sono tante variabili. La situazione in Siria cambia ad una velocità impressionante:
me ne sono accorto io stesso che ero andato lì a gennaio e avevo trovato una certa
situazione; sono tornato a marzo e ne ho trovata una completamente diversa. Si può
dire che sono rimasto “vittima” della rapidità del mutare delle condizioni della situazione.
D.
– A Ginevra sono allo stesso tavolo opposizione e governo siriano…
R. – Il
problema è che un attore fondamentale di questa tragedia non c’è a Ginevra. Dov’ è
Jabhat al-Nusra? Dove sono i gruppi che si richiamano ad Al Qaeda? Non parteciperanno
mai perché non prendono ordini da nessuno. Temo purtroppo che Ginevra sia una grande
“figurazione comunicativa” da cui non uscirà niente, forse solo qualche elemento umanitario.
I gruppi che sono rappresentati dal braccio politico della rivoluzione siriana, sul
terreno non contano niente. Vi posso dare un esempio personale e pratico: non sono
riusciti a tirarmi fuori dalla Siria in cinque mesi…
D. – Qual potrà essere
il futuro del Paese?
R. – Richiamo un'altra volta un Paese tragico e disperato:
la Somalia. La “somalizzazione” è il rischio, cioè la partizione del territorio, che
sarà diviso a seconda dei gruppi che lo controllano: una parte controllata dal governo,
sostanzialmente le grandi città, la frontiera con il Libano e la zona alawita; i gruppi
jihadisti di varia natura e nome controlleranno la parte Est del Paese, i confini
con l’Iran e con la Turchia; poi ci saranno gruppi più piccoli che sono quelli che
rimangono della “nebulosa” dell’armata siriana libera, ovvero, il braccio armato della
Prima rivoluzione siriana che si è disintegrata, scomparsa e che controlla altre piccole
parti di territorio. Questi gruppi “tosano” la popolazione, esercitano il sequestro
come metodo per finanziarsi e non necessariamente per comprare munizioni; questa è
un’altra realtà che ho potuto verificare di persona: i soldi dei sequestri non servono
per comprare le armi e per battersi contro Bashar, ma spesso servono ai militanti
che fanno parte delle brigate di questi gruppi rivoluzionari e delinquenziali per
vivere bene.
D. – Ci sono due vie – hai detto - che si possono seguire dopo
un sequestro: la vendetta e la rabbia; ed il perdono. Che posto ha adesso quella terribile
esperienza del rapimento nella tua vita?
R. – Il mio giudizio e la mia riflessione
sulla Siria è la considerazione che, mentre io non sono più sequestrato ed ho un’altra
vita, per milioni di siriani invece questa possibilità non c’è; la loro vita è un
campo profughi. Quindi il mio rapporto con loro non può che essere la conseguenza
di questa constatazione.
D. – Stai andando in Ucraina, un altro terreno caldo
in questi giorni. Con che spirito vai?
R. – Vado per vedere - come in molti
altri posti del mondo che io ho attraversato - se siamo di fronte ad una Primavera,
ovvero, l’esplosione di una volontà di trasformare il mondo, o se tutto questo è un’altra
cosa. Come faccio sempre credo sia quel ciclo fondamentale del mestiere che facciamo,
per cui prima di partire non bisogna dire nulla. Vado senza alcun pregiudizio. Questo
è l’unico atteggiamento che conosco.