Situazione sempre più instabile in Iraq. Dopo i sanguinosi attentati di mercoledì,
una bomba esplosa in un mercato di Baghdad ha causato almeno sei morti e 20 feriti.
Un gruppo di uomini armati ha anche occupato il Ministro per i Diritti Umani, prendendo
in ostaggio alcuni dipendenti. Immediato il blitz delle forze dell’ordine che hanno
ucciso diversi miliziani, liberando i sequestrati. Oltre 900 le vittime di attacchi
solo nel mese di gennaio. Sui motivi di questa recrudescenza delle violenze nel Paese
del Golfo, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Cremonesi, inviato
speciale del Corriere della Sera:
R. – Alla base
di tutto, sostanzialmente c’è il fallimento della politica del primo ministro sciita,
Nouri al-Maliki, che non è stato capace di inglobare la grossa minoranza sunnita del
Paese – circa il 35% della popolazione –- nella sua politica. Da quando c’è stato
il ritiro americano, nell’estate 2011, di fatto i sunniti non sono più una voce forte,
almeno proporzionale alla loro presenza, nel governo dell’Iraq. Questo è il grande
dramma. I sunniti si sono sentiti esclusi, addirittura occupati dalle milizie sciite
del governo al-Maliki nelle loro regioni. Gli stessi leader locali continuano a dire
che se lui continua ad escluderli, alla fine vincerà la “fronda”, cioè vinceranno
gli estremisti, o addirittura i gruppi filo al-Qaeda, cosa che è avvenuta.
D.
– Secondo lei, la ripresa degli attentati in Iraq dipende da una ricaduta negativa
della situazione siriana?
R. – Sì, ma il fatto che in Siria sia cresciuta la
guerra civile, il fatto che i gruppi dell’estremismo sunnita abbiamo avuto terreno
facile in Siria, ha favorito questo collegamento. Di fatto, quello che sta crescendo
è una sorta di repubblica semi-autonoma, estremista sunnita che va da Aleppo, Homs,
Hama, scende per il deserto ad est ed arriva ad Al-Anbār.
D. – E’ plausibile
secondo lei, proprio su questo aspetto, che da qui a breve ci si possa trovare con
una cartina geografica ridisegnata in qualche modo?
R. – Sì, c’è questa tendenza.
Come ad esempio è avvenuto in Libia, dove i confini coloniali costruiti e disegnati
dall’Italia nel ‘911 sono messi in dubbio con la divisione tra Tripoli e Bengasi.
Certamente, tendenze di questo genere ci sono in Siria, in Giordania ed anche in Iraq.
Poi, quanto effettivamente la cosa sarà permessa dalla comunità internazionale e dagli
stessi governi nazionali dobbiamo ancora vederlo. Ma certamente le "primavere arabe"
hanno imposto questo trend.