Violenza senza tregua in Siria. Ancora stallo sui negoziati a Ginevra
Non si ferma il massacro in Siria. Sono state decine ieri le vittime provocate da
un raid governativo su Aleppo. Intanto a Ginevra sono ancora in corso ma senza nulla
di fatto, i negoziati tra il governo di Damasco e l'opposizione siriana per una soluzione
alla crisi del paese costata la vita dal 2011 a 130mila persone. Il servizio di Paola
Simonetti:
Barili esplosivi
sganciati dagli elicotteri delle forze governative hanno seminato morte nei quartieri
di Aleppo controllati dai ribelli: almeno 13 le vittime fra cui donne e bambini, un
bilancio che resta purtroppo provvisorio. In Siria dunque non c'è barlume di tregua
negli scontri, che si consumano anche nel centro di Homs, nella regione meridionale
di Daraa e in quella vicina alle Alture del Golan. Sullo sfondo il tentativo di risolvere
la crisi siriana: a Ginevra sul tavolo dei colloqui fra la delegazione del governo
di Damasco e l'opposizione siriana, le cruciali questioni legate alla transizione
nel paese, con l'abbandono del potere da parte di Assad, fortemente caldeggiato dall'opposizione
e la necessità di consegna urgente di aiuti umanitari ad una popolazione allo stremo.
Ma se l'opposizione siriana dice di intravedere per la prima volta un timido ''passo
avanti'' nei negoziati, le concrete soluzioni sembrano restare in stallo per volontà
del governo siriano, accusato dall'opposizione di sorvolare proprio sul capitolo di
un governo di transizione, l'unico secondo l'opposizione che potrebbe fermare la tirranìa
e dunque la violenza.
Drammatica anche la situazione umanitaria: 20 mila
persone, secondo fonti locali, rischiano di morire di fame nel campo profughi palestinese
di Yarmuk, a sud di Damasco, mentre restano in attesa di entrare a Homs i convogli
dell’Onu carichi di aiuti umanitari per la popolazione assediata. Giunge in questo
scenario la notizia che la Gran Bretagna accoglierà in via temporanea "centinaia"
di rifugiati dalla Siria. Il Regno Unito collaborerà con le Nazioni Unite in questa
iniziativa ma non prenderà parte, come già detto in passato, al piano dell'Alto commissariato
Onu per i rifugiati che ha visto già alcuni Paesi europei dare la loro disponibilità.
Sulla situazione di Homs, Roberta Gisotti ha intervistato il gesuita padre
Ghassan Sahoui, direttore di un Centro educativo nella località siriana che
vede migliaia di cittadini intrappolate nella parte vecchia della città, assediata
da un anno e mezzo dalle forze lealiste:
R. – Accanto
a noi, a meno di un chilometro, c’è la gente, i nostri amici, sono lì e vivono un
tempo difficile, molto difficile, direi, perché non hanno più da mangiare, non hanno
quasi niente, ed ora fa freddo e non ci sono medici né medicine: non hanno nulla!
Noi viviamo accanto a loro però non possiamo fare niente, solo pregare e sperare che
finalmente tutti i responsabili rispondano per aiutare la gente che vive lì.
D.
– Abbiamo saputo che domenica scorsa c’era stato un accordo per liberare almeno le
donne e i bambini: un accordo che era stato annunciato a Ginevra dal mediatore internazionale
dell’Onu e della Lega Araba, Lakdar Brahimi. Voi sapete niente, perché questo accordo
sia saltato?
R. – Sì, abbiamo sentito che c’era qualcosa, però finora non c’è
niente sul terreno. Sembra ci siano negoziati per liberare tutti i civili all’interno,
ma anche che questi negoziati siano difficili e spinosi, perché ogni parte cerca il
suo proprio interesse.
D. – Quanti sono i civili assediati?
R. – Tremila,
quattromila persone circa.
D. – Lei è direttore di un Centro educativo ad Homs.
Come prosegue la vita di tutti i giorni?
R. – Noi viviamo, ma sentiamo sempre
il fragore del mortaio o di altre armi e avvertiamo sempre che siamo in guerra. Noi
proviamo a vivere “come al solito”, e così la vita va avanti… Proviamo ad accogliere
la gente, ad aiutarla. Anche i bambini che vengono alla scuola, al centro: proviamo
a dar loro qualche piccola cosa per compensare la durezza, la crudeltà della guerra.
D.
– Tutte le speranze sono quindi riposte in questo momento su Ginevra, perché le parti
in conflitto trovino finalmente un modo per liberare la popolazione siriana da questo
incubo…
R. – Infatti. Sì, dobbiamo sperare, però è difficile. Trovare una soluzione
che possa accontentare tutte le parti, non è cosa semplice. Speriamo che mettano al
primo posto l’interesse del popolo siriano, di tutta questa povera gente che soffre
ogni giorno, che non ha da mangiare. Non solo a Homs: ci sono altre città, altre zone,
ci sono quasi tre milioni di persone che non ricevono niente dell’aiuto umanitario…
I negoziati politici si dice che forse dureranno un anno: ma per l’aiuto umanitario,
non si può attendere tutto questo tempo. Speriamo che in questi giorni ci sia una
soluzione e che la gente possa tornare a vivere in modo, diciamo, “umano”.