Argentina sull’orlo di una nuova crisi economica dopo la svalutazione, la scorsa settimana,
della moneta locale; decisione che ha causato il crollo del Peso, con conseguenze
pesantissime sui risparmiatori, che hanno visto bruciare in poche ore la maggior parte
dei loro risparmi. Ma perché si è arrivati a questo punto? Salvatore Sabatino
lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, esperto di Paesi in via di sviluppo:
R. - Ho l’impressione
che più che un vero squilibrio economico, ci sia una forte crisi politica in questo
momento in Argentina. Alcune voci argentine affermano anche che questa crisi sia stata
generata da una parte del mondo, quella delle imprese più internazionalizzate, che
vogliono in qualche modo far crollare il governo della Kirchner non riportando nel
Paese i proventi in valuta che hanno. Questo suscita evidentemente una caduta del
valore del Peso che viene sostenuto artificialmente dalla banca centrale, la quale
ad un certo punto, quando questo sforzo diventa eccessivo, alza la bandiera bianca
come ha fatto settimana scorsa, facendo cadere il valore ufficiale. È abbastanza difficile
leggere, in realtà, questa dinamica. Sicuramente la Kirchner è stata accusata sia
per la sua assenza dovuta alla malattia nell’ultimo mese, sia per aver fatto scelte
politiche che hanno favorito le forze sociali più deboli del Paese che hanno generato
un contrasto, prima di tutto, con il mondo dell’imprenditoria. Diciamo, più generalmente,
che il contrasto è tra destra e sinistra, anche se questa è una lettura abbastanza
grossolana dei termini della questione.
D. - Molti temono che la crisi argentina
possa riverberarsi sui Paesi in via di sviluppo; si parla di Cina, India, Turchia,
Indonesia, Sudafrica … C’è, secondo lei, davvero il pericolo che queste economie possano
subire delle conseguenze?
R. - Io credo che potrebbe essere il contrario. Una
forte crisi cinese sicuramente determinerebbe una crisi in tutta questa rete di Paesi.
L’Argentina non è un Paese dalla dimensione tale da poter esercitare un’influenza
veramente negativa o positiva sul complesso dei Paesi in via di sviluppo; può determinare
un’influenza sul complesso latino-americano, dove l’integrazione è molto più forte,
meno sul complesso dei Paesi emergenti. Però sì, un momento di crisi significativo
e pesante di un Paese - comunque autorevole dal punto di visto demografico ed economico
- potrebbe suscitare incertezza; e l’incertezza in una fase economica del mondo in
cui non abbiamo una dinamica positiva ancora particolarmente forte dopo la crisi,
può indebolire i percorsi nei vari Paesi.
D. - Le economie in via di sviluppo
che sono attualmente il motore del mondo, in questo momento storico, se dovessero
effettivamente rallentare, le vecchie economie - parliamo di Stati Uniti ed Europa
- ne avrebbero conseguenze più positive o negative?
R. - Dipende. Un Paese
come la Cina in questo momento sta facendo da traino per molti altri Paesi. In modo
particolare c’è una dinamica semplificata che non è unica, ma è ben visibile: i Paesi
produttori di materie prime vendono alla Cina che trasforma e vende ai Paesi ricchi
e ai Paesi in via di sviluppo. La crisi dei Paesi ricchi riduce la domanda dei prodotti
cinesi che a loro volta riducono la domanda di materie prime. Questo è ciò che è avvenuto
con la crisi del 2008 e negli anni successivi. Però, i mercati interni di questi Paesi
hanno cominciato a crescere; molti di questi Paesi hanno cominciato ad investire in
favore dello sviluppo del proprio mercato interno e non esclusivamente nelle esportazioni
di materie prime o di prodotti semplificati. Questo è avvenuto nel comparto latino-americano,
in buona parte del comparto asiatico e in parte anche in Africa, che ha visto dati
di crescita molto rilevanti negli ultimi due anni e che tuttora ha previsioni molto
rilevanti per quanto riguarda l’aumento del prodotto interno lordo. Quindi la Cina
in questo modo non ha subito così una perdita troppo pesante in relazione alla caduta
della domanda europea e statunitense. Tutto questo per dire che i comparti regionali
si sono resi un po’ più autonomi. La dipendenza però dei mercati del Nord dai comparti
regionali del Sud del mondo è piuttosto relativa: in genere viste le dimensioni, tuttora
il Nord, essendo ricco, può determinare un’influenza positiva o negativa a seconda
se cresce o diminuisce, ma, ripeto, quello che abbiamo visto negli ultimi quattro
anni è che i comparti del Sud sono diventati un po’ più autonomi.