Civiltà Cattolica, incontro sul crimine organizzato. Padre Larivera: "Questione che
riguarda tutti"
Hanno un giro di affari di 870 miliardi di dollari all’anno, sono una minaccia per
la pace, lo sviluppo e i diritti umani: si tratta delle reti criminali di tutto il
mondo che, come Papa Francesco ha ricordato in occasione della Giornata Mondiale della
Pace, “offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato”. Del
tema si è discusso sabato scorso presso la sede della rivista dei gesuiti “La Civiltà
Cattolica”, durante un incontro intitolato “Criminalità transnazionale, una sfida
per la Chiesa”. Al microfono di Davide Maggiore, padre Luciano Larivera,
scrittore della rivista, ha elencato i danni sociali causati dalle organizzazioni
criminali:
R. – Attraggono
giovani, propongono un modo di concepire il lavoro dove non ci sono diritti sindacali,
rappresentanza, dove c’è un abbassamento di una cultura, non solamente sul senso dell’umanità,
ma sul senso della fraternità, dei ruoli della rappresentanza sindacale, del lavorare
insieme in politica. Di fatto, ognuno deve legarsi ad un’entità, che comunque ti tratta
da subumano o perlomeno, anche se sei affiliato, la tua vita non vale niente. Quindi
il lavoro di educazione, di prevenzione è proprio per riuscire a dare un senso di
appartenenza a realtà vive, vere, fraterne. Avere un senso della propria dignità fa
sì che uno ad un certo punto, se non ha proprio una repulsione, perlomeno non ha attrazione
per certe seduzioni.
D. – La criminalità organizzata è una sfida sempre più
grande per le istituzioni, va affrontata non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.
In questo quadro, come può la Chiesa contribuire a contrastare la criminalità?
R.
– Da un lato, ogni singola diocesi, come diceva don Peppino Diana, e anche, in fondo,
ogni parrocchia, in qualche modo deve elaborare un’analisi del proprio territorio,
capire quali sono le persone più esposte all’usura, quali sono le dinamiche del proprio
territorio; capire come si può intervenire nel tessuto sociale per prevenire, per
aiutare fondazioni antiusura, per aiutare i ragazzi a trovare occupazione da altre
parti. E’ davvero un lavoro da fare capillarmente: nelle diocesi, nelle parrocchie,
dalle Conferenze episcopali, fino al livello mondiale. Credo che ormai la consapevolezza
della gravità sia forte.
D. – Ci sono anche tanti esempi di iniziative concrete,
iniziative sul territorio, portate avanti da congregazioni religiose o anche da singoli
religiosi...
R. – Molti operatori pastorali vengono anche uccisi e subiscono
minacce. C’è ad esempio tutto il lavoro con le persone che vengono sfruttate e l’assistenza
alle persone che subiscono la tratta. Ci sono tante iniziative pastorali, concrete.
Ci sono operatori gesuiti, associazioni che lavorano con le persone, che vengono portate
dal confine messicano a quello americano, per sostenerle durante il cammino, senza
fare cose illecite, ma prendendosi cura proprio dei bisogni emergenziali, a volte.
E poi gli esempi non mancano: il Meridione, tutto il discorso che si fa con le scuole,
e il discorso degli oratori sarebbe fondamentale.
D. – Alla criminalità organizzata
transnazionale Papa Francesco ha fatto riferimento in più occasioni. Ad esempio, quando
ha parlato della corruzione o contro il traffico di esseri umani. L’ultima occasione
è stato il messaggio per la Giornata mondiale della pace, che ha fatto notare come
le reti criminali mettano a rischio la fraternità stessa...
R. – Distruggono
proprio le cose più fondamentali, cioè la fiducia, il rispetto della dignità umana,
il patto di umanità. La morte dell’altro è considerata quasi come un gioco, irrilevante.
Il Papa però distingue bene: il crimine, i peccatori criminali e soprattutto le vittime,
ovviamente. Quindi c’è una questione che riguarda tutti alla fine: capire come aiutare
le persone ad uscire dal crimine. È una sfida grande, però a Los Angeles lo stanno
facendo con le gang ed anche in America Latina.
D. – Abbiamo detto che è una
sfida di tutti. In questo senso, possiamo far riferimento ad altre parole del Papa,
quelle che hanno denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza”. Questo certamente
è un terreno in cui la criminalità può prosperare...
R. – La globalizzazione
porta fenomeni nuovi che coinvolgono tutti. Il traffico di droga, di clandestini riguarda
tutti, sono crimini internazionali. Allora: non essere indifferenti a cosa ci sia
dietro il fenomeno e non far sì che diventi una cultura condivisa, verso la quale
tutti chiudiamo un occhio, e quindi esserne complici. A volte anche l’indifferenza
può essere un meccanismo di difesa psicologica davanti alla gravità, all’enormità
dei rischi nel contrasto o del fenomeno in sé. Si rinuncia, però, a capire cosa si
vuole veramente dalla vita. Noi siamo disposti in qualche modo a dare la vita per
il bene degli altri? E’ una sfida grande: tocca proprio la speranza cristiana, tocca
proprio la testimonianza.