Triplice attentato in Egitto. Almeno 5 morti, rivendicazione di un gruppo jihadista
Una serie di attentati ha scosso stamattina il Cairo, con un bilancio di almeno 5
morti e 50 feriti. Tre le esplosioni avvenute nella capitale egiziana, proprio nel
giorno in cui ricorre la vigilia del terzo anniversario della caduta del regime di
Hosni Mubarak. In uno degli attacchi “sono stati utilizzati - riferiscono i militari
- almeno 500 chilogrammi di esplosivo”. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
A rivendicare
via Twitter gli attentati, il gruppo jihadista Ansar beyt el Makdes, già autore di
numerose violenze nel Sinai. “Questo attacco – si legge nel testo – è diretto contro
le forze di sicurezza, infedeli e sanguinarie”. Un chiaro monito ai militari, colpevoli
della deposizione del presidente Morsi e dell'eliminazione dalla scena politica dei
Fratelli Musulmani. Attacchi che giungono – e non è un caso – alla vigilia del terzo
anniversario della caduta del regime di Hosni Mubarak, e che fanno piombare la capitale
egiziana nel terrore. E’ la prima volta, infatti, che il Cairo subisce un attentato
con un’autobomba, caricata con almeno 500 chilogrammi di tritolo, a cui sono seguite
altre due deflagrazioni, causate da ordigni esplosivi. Abdeen, Dokki, e Talebiya sono
i quartieri colpiti. In tutti e 3 i casi ad essere prese di mira sono state strutture
della polizia. A Talebiya l’esplosione più grave, perché si è verificata sulla strada
principale che porta alle piramidi di Giza. Il bilancio – tengono a precisare i soccorritori
– è purtroppo provvisorio. In queste ore, infatti, si sta lavorando tra le macerie
sotto le quali potrebbero esserci altri morti. A Bab al Khalq, l'esplosione ha danneggiato
anche il museo islamico e sventrato altri palazzi circostanti.
Il Cairo,
dunque, piomba nel terrore. Per la prima volta un’autobomba entra in azione in città.
Un segnale non certo di distensione, in un momento particolare per questo Paese, che
sta cercando una già difficile strada verso la normalizzazione. Ne abbiamo parlato
con Ugo Tramballi, inviato del quotidiano “Il Sole 24 Ore”:
R. - Non è la
prima volta che accade un attentato di questo genere. Ce ne sono già stati altri nelle
scorse settimane: questo è più sofisticato! Dimostra anche una preparazione militare
e una volontà di colpire gli obiettivi che è molto, molto pericolosa.
D. -
Ad essere prese di mira, infatti, sono le forze di sicurezza, le stesse che stanno
tracciando - diciamo - la strada del cambiamento. Tutto questo può rallentare questo
processo?
R. - Le forze di sicurezza non stanno tracciando la strada del cambiamento,
ma - al contrario! - stanno ritornando e facendo ritornare l’Egitto a prima di Piazza
Tahrir, tre anni fa. E questo è il problema! Non si può non tenere conto che questo
fondamentalismo e questo terrorismo islamico siano anche la conseguenza delle politiche
dei militari egiziani, del generale al-Sisi, che hanno tolto qualsiasi spazio politico,
democratico e civile ai Fratelli musulmani: una frangia dei quali, fatalmente, si
sente attratta dal terrorismo politico.
D. - A rivendicare via Twitter gli
attentati di questa mattina è un gruppo jihadista che è già autore di numerosi attacchi
nel Sinai. Chi sono?
R. - Oramai non c’è un solo elemento: oramai questi gruppi
jihadisti sono una specie di internazionale del terrore islamico che si muove dove
c’è terreno fertile: hanno combattuto in Iraq, in Afghanistan, in Siria. Il Sinai
era il ventre molle da tempo e da molto tempo anche con la colpevole responsabilità
del governo dei Fratelli musulmani e ora dal Sinai queste forze si riverberano anche
in queste città immense, come il Cairo. Non dimentichiamo che comunque i Fratelli
musulmani avevano e continuano ad avere un amplissimo consenso popolare, molto capillare,
sia nelle campagne che nelle grandi città.
D. - C’è ancora spazio per il dialogo
o è davvero troppo tardi?
R. - Temo di no! Temo che oramai si vada sempre di
più verso lo scontro e sempre più forte. Io temo che il generale al-Sisi, che ha già
anticipato le elezioni presidenziali per il mese di marzo, anziché la prossima estate,
si candiderà: e non solo si candiderà alla presidenza e prenderà un voto plebiscitario,
ma si candiderà senza dimettersi dalle Forze Armate. Quindi avremo un generale che
comanderà in un Paese importantissimo ed essenziale per il Mediterraneo.