Sud Sudan: firmata la tregua tra governo e ribelli
Stop al conflitto in Sud Sudan. Dopo oltre un mese di combattimenti, siglato ad Addis
Abeba il cessate il fuoco tra la delegazione del presidente Salva Kiir e quella dei
ribelli fedeli all'ex vicepresidente Riek Machar. Secondo fonti delle Nazioni Unite,
sono migliaia i morti e oltre mezzo milione i profughi. Il cessate il fuoco dovrà
entrare in vigore nelle prossime ore, anche se stamani i ribelli hanno denunciato
di avere subito un attacco. Notizia negata da fonti governative. Filippo Passantino
ne ha parlato con il direttore di Nigrizia, Efrem Tresoldi, il mensile
dei missionari comboniani dedicato al continente africano:
R. - Bisogna
tirare un sospiro per questo accordo sul cessate il fuoco che è stato raggiunto dopo
settimane di dialoghi preliminari tra le due fazioni, quella fedele al governo di
Salva Kiir e quella dei ribelli legati a Riek Machar, l’ex vice primo ministro. Quindi
è senz’altro un passo positivo. Dobbiamo però essere molto cauti - come lo sono state
tutte le agenzie - perché la tensione nel Paese rimane molto alta. A questo va aggiunto
anche il fatto che c’è un certo scetticismo riguardante la possibilità di controllare
effettivamente i vari gruppi ribelli del Paese, alcuni dei quali non sono più disposti
a lasciare le armi e quindi ad obbedire a questo cessate il fuoco.
D. - Serve
qualcosa di più per ripristinare la pace nel Paese?
R. - Bisogna vedere fino
a che punto funzioneranno - come è previsto nell’accordo - i vari meccanismi di monitoraggio
per l’implementazione dell'accordo stesso. Poi l’altra cosa, è assicurare che i corridoi
umanitari vengano effettivamente realizzati in modo da poter portare soccorso a circa
mezzo milione di sfollati. È importante, per fare di più, che ci sia veramente una
presenza anche da parte della Comunità internazionale sul campo attraverso le varie
organizzazioni di assistenza sanitaria e umanitaria e attraverso una presenza forte,
politica in modo tale da sostenere questo processo di pace appena iniziato.
D.
- La liberazione degli 11 detenuti vicini a Machar è una buona condizione per il ritorno
alla pace?
R. - Senz’altro! Questo era uno dei punti più spinosi che ha ritardato
l’accordo. Infatti il governo di Salva Kiir insisteva nel dire che non venivano liberati
fino a quando ci sarebbe stato un legale processo nei loro confronti, mentre dall’altra
parte volevano la liberazione immediata. Quindi questo scoglio potrebbe essere superato,
anche se qui bisogna essere molto cauti, com pure il fatto che l’Uganda finalmente
ritiri le truppe che sono state poste a sostegno del governo per la liberazione di
almeno due città come Bentiu, Bor e forse Malakal.
D. - Anche la Casa bianca
ha espresso felicitazioni per il cessate il fuoco?
R. - Anche questo è importante.
È un segnale che dovrebbe provenire anche da altre cancellerie europee in modo tale
che coloro che veramente amano e credono nella pace si sentano sostenuti da questa
solidarietà internazionale.