Dedicata a S. Ignazio di Loyola la seconda lettura teologica della diocesi di Roma
E’ stata la figura di S. Ignazio di Loyola, con il suo “Racconto di un pellegrino”,
la protagonista della seconda lettura teologica sui classici della spiritualità cristiana,
che si è svolta ieri sera a Roma in sala della Conciliazione del palazzo Lateranense.
Il ciclo di incontri, promossi dalla diocesi di Roma, si concluderà giovedì prossimo
con una riflessione sul testo di Santa Teresa d’ Avila “Il castello interiore”. Ma
sulla figura di S. Ignazio da Loyola, Marina Tomarro ha intervistato il gesuita
padre Marko Ivan Rupnik, direttore del Centro Aletti:
R. - Sant’Ignazio
di Loyola è veramente un santo che ha raccolto un’immensità di doni di Dio in un momento
storico preciso e li ha messi tutti, attraverso sé stesso, a servizio della Chiesa.
In un momento di grande confusione, di tanti fraintendimenti, lui porta una luce del
discernimento. In un momento in cui c’era un formalismo, una superficialità una non
conoscenza delle cose, lui si mette a cammino con le persone a parlare delle cose
di Dio: un colloquio personale, vedere dove la persona è, e da lì partire. Io penso
ci sia un’infinità di queste caratteristiche che sono i doni che lui ha ricevuto ma
che ha saputo trasmettere. La sua grandezza è anche al pedagogia. Lui è riuscito a
formare i suoi.
D. - Il cammino di Sant’Ignazio non è stato solo un cammino
materiale, ma è stato soprattutto un cammino spirituale, di crescita...
R.
- Lui è davvero passato da un individuo totalmente preoccupato per sé stesso, per
la sua perfezione, a una persona che ha capito che la propria volontà non è semplicemente
da orientare verso un bene, ma è proprio quella di trasfigurarla. Cioè, non affermare
la propria volontà, ma di accogliere quella di Dio. E questo è possibile solo attraverso
il sacrificio della mia. Penso che questo sia il vero pellegrinaggio di Ignazio.
D.
- Papa Francesco spesso cita Sant’Ignazio nelle sue omelie. Ma qual è, secondo lei,
l’insegnamento che lui ha adottato maggiormente di questo grande Santo?
R.
- Penso proprio questa lungimiranza, questa visione... Papa Francesco è un visionario
come lo era Ignazio: una fede vissuta, riflettuta e arrivata alla sapienza. Papa Francesco
parla da sapiente non da teorico complicato, da sapiente! E per questo, quando una
persona arriva a una tale maturità, le cose diventato semplici, umili a volte, nell’amore
e per questo bisogna stare attenti ai più piccoli.
Il principio fondamentale
di Sant’Ignazio è stato dunque il discernimento. Ma cosa vuol dire? Lo spiega Leonardo
Becchetti, docente presso l’Università di Tor Vergata a Roma:
R. - Discernimento
vuol dire imparare a vagliare sulla base del contesto quelle che sono le scelte: se
si tratta di scelte buone o scelte negative. E quindi, la spiritualità di Sant’Ignazio
è molto adatta a leggere i segni dei tempi, quindi ad aprire alle novità del contesto
per applicare a quelle novità i principi di sempre, ma in modo nuovo. Dai Gesuiti
nascono continuamente cose nuove, idee nuove, nuovi movimenti o nuove applicazioni
alla realtà dei principi ignaziani. Uno dei segni del discernimento è quello di cercare
di capire come si realizza il rapporto tra Dio e l’uomo nella storia, un rapporto
che evolve sempre, che cambia sempre e che va verso un suo compimento.
D. -
Secondo lei, qual è il messaggio di Sant’Ignazio che dal 1500 arriva fino ai giorni
nostri?
R. - Sono le specificità, le caratteristiche peculiari di questa spiritualità,
ovvero quella del cercare e trovare Dio in tutte le cose e porsi nell’atteggiamento
di curiosità e di dialogo anche con chi è lontano, con le diverse culture, usando
quello che lui chiama il presupponendum, cioè il cercare di salvare l’argomento
dell’altro che ho di fronte, piuttosto che condannarlo.