Wojtyla-Kluger, la Lev presenta il libro “Il Papa e l’amico ebreo” di Svidercoschi
“Il Papa e l’amico ebreo. Storia di un'amicizia ritrovata”. Questo il titolo del libro
del vaticanista Gian Franco Svidercoschi presentato a Roma ed edito da Cairo
e Libreria Editrice Vaticana. Il volume ricorda l’avvincente racconto di un’amicizia,
quella tra Karol Wojtyla e Jerzy Kluger, tra un cattolico e un ebreo. E’ la storia
di un’amicizia – spiega al microfono di Amedeo Lomonaco il giornalista Svidercoschi
- che rappresenta anche il modello più autentico del dialogo tra cattolici ed ebrei:
R. - Storie
come questa amicizia fra il Papa e il suo amico ebreo sono già l’anticipazione di
quello che dovrebbe avvenire: questa riconciliazione nei cuori, ma anche nell’azione
comune, perché adesso sta risorgendo un certo antisemitismo. Un antisemitismo un po’
sociale, culturale, in cui si vede sempre il diverso anche nell’ebreo. Quindi è importante,
invece, che ci sia questo rapporto di reciproca fiducia e di reciproco rispetto. Penso
che sia importante partire proprio da storie come queste per capire come, attraverso
l’amicizia, si possa creare un diverso tipo di relazione. Questo libro, andando in
giro per il mondo, ha sollevato in ogni parte il ricordo di una tragedia antica, ma
anche di una speranza nuova. E’ una cosa assurda pensare che la Shoa possa tornare,
però può tornare un clima di intolleranza e di inimicizia. E’ bene, invece, che i
giovani imparino a mettere da parte queste tentazioni.
D. - C’è un’immagine
forte di questa storia, di questa amicizia, un’immagine eloquente…
R. - Credo
che sia il loro rincontrarsi. Frequentano la stessa classe. Vivono la stessa vita
fino al ’38-’39; si separano e si ritrovano 26 anni dopo, a Roma, per caso. Ma era
un caso veramente o è stata la Provvidenza che ha riservato questo incontro? E in
quel momento, quando si rincontrano, così normalmente - uno è arcivescovo di Cracovia
e l’altro è un ingegnere ebreo, sposato, polacco - si ritrovano e c’è questa amicizia
che ritorna, che spunta fuori improvvisamente. L’amico ebreo si confida con l’amico
cattolico, tirando fuori quel tragico peso che si portava dentro dello sterminio della
sua famiglia nei campi di sterminio…. Quel momento credo che sia un momento rappresentativo
ed emblematico di questo rapporto fra ebrei e cristiani. E soprattutto quel saluto
che io mettevo in bocca all’arcivescovo di Cracovia: “Speriamo che un giorno cristiani
ed ebrei si possano riabbracciare così”, mi suggerisce la correzione Papa Wojtyla,
dicendo: “che si possono ritrovare così”. E’ la stessa cosa che diceva il Concilio:
il Popolo di Dio può ritornare alla comprensione del suo mistero solo ritrovando il
suo legame spirituale con la stirpe di Abramo. E esattamente questo loro lo hanno
vissuto nella loro carnalità, nel loro rapporto, nelle loro coscienze. Credo che sia
un grande insegnamento per i giovani!
Alla base di un dialogo autentico
c’è sempre una profonda conoscenza reciproca. Così Riccardo Di Segni, rabbino
capo della Comunità ebraica di Roma:
R. - Non è un
dialogo di tipo teologico, ma è un dialogo di tipo personale: è un’amicizia. Poi il
caso ha voluto che questa storia, del tutto particolare, diventasse anche eccezionale
per gli sviluppi che ha avuto. Però di queste storie ce ne sono tante ed è il dialogo
di base: ciascuno può convivere con l’altro nel rispetto delle sue differenze.
D.
- Il dialogo scandito nella ‘carnalità’, cioè vissuto proprio quotidianamente…
R.
- Il primo livello, il livello fondamentale, è quello di ammirare l’umanità dell’altro,
reciprocamente. Altrimenti, si rimane a livello di teologia, a livello di grandi sistemi,
che peraltro non sono cambiabili.
D. - Siamo alla vigilia di una giornata
importante, la Giornata della memoria. Questa storia è uno dei tanti tasselli per
leggere questa Giornata…
R. - Sì, ci fa riflettere su come era il mondo prima,
come è stato distrutto e come sarebbe opportuno che lo ricostruissimo. Sono tante
immagini, di cui - appunto - la memoria non deve essere persa!