Presentata la 2.a edizione del volume "Rifugiati, profughi, sfollati" di Nadan
Petrovic
Dalla Costituzione italiana, era il 1948, ad oggi: tutta la storia della tutela da
parte dell’Italia del diritto d’asilo spiegata in un volume, la cui seconda edizione,
aggiornata, è stata presentata mercoledì al centro Astalli di Roma. L’autore di “Rifugiati,
profughi, sfollati” è Nadan Petrovic, esperto delle politiche d’asilo, collaboratore
in passato anche delle Nazioni Unite, della Commissione Europea, dell’Oim. In questa
nuova stesura Petrovic si sofferma su eventi epocali che hanno posto la penisola di
fronte ad ulteriori sfide, come gli arrivi a seguito della cosiddetta ‘primavera araba’,
ai quali Petrovic dedica un intero capitolo. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – L’episodio
dell’emergenza Nordafrica è stato significativo sotto vari punti di vista. Da un lato
ci ha dimostrato ciò che spesso viene ignorato: che l’Italia è tra i Paesi con maggior
numero di richieste di asilo, non con il minor numero, nel panorama dei Paesi cosiddetti
industrializzati, viene subito dopo gli Stati Uniti, la Francia e spesso davanti alla
Germania, alla Gran Bretagna, all’Olanda. E quindi, il numero delle domande è stato
particolarmente rilevante durante l’emergenza nordafricana. La seconda cosa è che,
nonostante una ormai pluridecennale esperienza in materia di asilo e di accoglienza,
questo evento ci ha trovati ancora una volta impreparati, di nuovo si è dovuti ricorrere
alle misure straordinarie, molte delle quali era abbastanza chiaro agli addetti ai
lavori che non avrebbero funzionato. Si sono commessi un po’ gli stessi errori degli
anni passati. Allo stesso tempo, però, cerco di valorizzare anche il buono che ne
è arrivato, ossia un maggiore protagonismo del sistema delle Regioni, finora completamente
assenti dalle politiche nazionali d’asilo.
D. – Le falle nel sistema di asilo
italiano sono evidenti e pubbliche, resta però in piedi una sorta di conflitto di
competenze tra Italia e Unione Europea. Le polemiche nate dopo le centinaia di morti
a Lampedusa, nell’ottobre scorso, ne sono la prova …
R. – L’Italia è tra i
Paesi più esposti in riferimento a questo flusso, ma non è l’unica, ci sono la Grecia,
Malta e, ultimamente, addirittura la Bulgaria. Direi che quell’episodio, nelle sue
dimensioni così catastrofiche, ci è servito da un lato a evidenziare con maggiore
forza che gli arrivi all’isola di Lampedusa sono un tema di arrivi nell’Unione Europea.
Di fronte ad una tragedia di quelle dimensioni, questo tema finalmente si è capito,
grazie anche alla presenza sull’isola della presidente della Commissione (Cecilia
Malmström n.d.r.)e del presidente del Parlamento europeo (Manuel Barroso n.d.r.).
Diciamo che nell’agenda europea hanno iniziato ad entrare alcuni temi di interesse,
che stanno a cuore all’Italia. Dall’altro lato, però, è stato di maggiore insegnamento
quello che è successo da Lampedusa in poi, e che ha dimostrato che gli italiani continuano
a ‘non essere sempre pronti all’esame’. Un esempio: tutti hanno visto le scene dei
trattamenti riservati ai migranti, molti dei quali richiedenti protezione internazionale.
C’è poi un tema che io direi essere la priorità nel sistema italiano, il problema
principale non è come si accolgono le persone appena arrivate, ma ciò che accade poi
a queste persone nei mesi successivi. Perché, se spesso siamo molto accoglienti nelle
primissime fasi dell’arrivo, è vero anche che poi le persone alle quali riconosciamo
anche un ampio spettro di diritti, riconoscendo loro lo stato di rifugiato, rimangono
senza qualsiasi forma di sostegno, tant’è vero che le grandi aree metropolitane sono
piene di rifugiati che hanno occupato gli stabili, che dormono alle stazioni ferroviarie
o sotto i ponti, in assenza di un qualsiasi programma strutturato di supporto all’integrazione.
D.
– Il sottotitolo del suo libro è: “Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla
Costituzione ad oggi”. Allora, le chiedo: cosa l’Italia oggi ancora non ha capito
dell’accoglienza a rifugiati, profughi e sfollati?
R. – Viene molto ignorato,
nel dibattito pubblico, che l’Italia in passato è stato uno dei pochi Paesi che abbia
utilizzato la possibilità, prevista in sede di Convenzione di Ginevra, di accogliere
solo rifugiati provenienti dal continente europeo, e quindi questo veniva tradotto
in pochi casi di dissidenti, prevalentemente dall’Est europeo. Di tutti gli altri,
l’Italia non doveva occuparsi, è questo, secondo me, che sta alla base di una certa
specializzazione italiana alla prima accoglienza. La situazione cambia con
la legge Martelli del 1990. C’è stato un decennio di arrivi molto intensi, provenienti
quasi tutti però dall’area balcanica, e quindi, a mio giudizio, si è preso un abbaglio
che ha portato a credere che l’Italia non fosse ancora un Paese d’asilo, arrivando
tutte le problematiche da una situazione molto specifica in un’area molto vicina,
limitrofa all’Italia. Solo verso la fine degli anni Novanta si inizia a capire, per
un insieme di motivi, che ci si deve iniziare ad occupare di questo fenomeno. In questi
anni sono stati fatti alcuni importanti progressi però, nel complesso, non si è ancora
riusciti a costruire un dispositivo compiuto: questa sarà la sfida per i prossimi
anni.