Riforma elettorale, Diotallevi: "Italicum è accordo buono, ma già peggiorato, frutto
di vera democrazia"
Luca Diotallevi, sociologo Università Roma Tre - Settimane Sociali "L'accordo
che ha portato alla proposta del modello di legge elettorale chiamato 'Italicum' segna
senz'altro una svolta nella politica italiana. Ma è una svolta nata dall'entrata di
Matteo Renzi sulla scena politica come segretario del Pd, un ingresso paragonabile
solo a quello di Berlusconi come leader del centro-destra, avvenuto vent'anni fa.
Anche in questo caso, cioè, il sistema chiuso della casta dei partiti è stato, in
un modo o nell'altro, frantumato ed è entrato in gioco un personaggio forte della
legittimità democratica ricevuta che ha prodotto un'accelerazione dei tempi della
politica. Almeno per un attimo, in Italia, il tempo della politica si è così allineato
con i tempi di una democrazia. Ci siamo così resi conto che è la resistenza quarantennale
del ceto politico ad impedire un lavoro che si può fare in quindici giorni, come hanno
dimostrato Renzi e Berlusconi. Il problema però è che la fortissima resistenza
alle riforme che ha il suo perno nel Quirinale, perché Alfano, i bersaniani e Letta
poco potrebbero con le loro modestissime forze, ha già ridotto l'accordo a qualcosa
di meno buono rispetto all'originale. Accordo che ora rischia, soprattutto, di essere
distrutto in Parlamento dove, per una ragione o per l'altra, Renzi e Berlusconi non
hanno l'equivalente della loro legittimità. La bontà del loro accordo era originariamente
alta proprio perché abbatteva piccole frazioni, rendendo possibile a maggioranza e
opposizione di fare il loro mestiere. Ovviamente chi campa proprio dei piccoli frazionismi,
appoggiato dal Quirinale, oggi reagisce.
Credo che il presidente Napolitano
sia stato soddisfatto della 'riduzione' subita dall'accordo sulla riforma elettorale.
In origine, infatti, si era parlato di replicare il 'modello spagnolo' dove il riparto
dei seggi non avviene a livello nazionale ma a livello di piccolo collegio. Ciò implica
che se hai meno del 20-25% dei voti in un singolo collegio non passi. Ed è il meccanismo
con cui funzionano tutte le democrazie serie del mondo. Quindi possiamo dire che il
Quirinale ha ottenuto una modesta vittoria perché ha stemperato il carattere riformista
dell'accordo tra Berlusconi e Renzi. E' chiaro quindi perché oggi Napolitano, Alfano,
la parte più conservatrice del Pd, festeggino. Hanno portato una prima picconata a
un accordo che per i riformisti è da difendere con le unghie e con i denti. Basterebbe
infatti che si reintroducesse in Parlamento la preferenza o si abbassasse di pochissimo
la soglia già bassa che è stata introdotta per lo sbarramento e saremmo alla fine.
Si creerebbe così un sistema che incita a costituire quelle grandi coalizioni eterogenee
che sono state la ragione del fallimento in passato di Prodi e Berlusconi. Entrambi
avevano ricevuto molti voti ma si sono ritrovati poi minacciati dall'interno in coalizioni
esageratamente eterogenee, create proprio dalle passate leggi elettorali. L'accordo
Berlusconi-Renzi era quasi riuscito a cancellare questa anomalia che ora è stata in
parte reintrodotta.
A chi ha criticato Renzi per aver voluto incontrare
Berlusconi, e raggiungere con lui un accordo sulla riforma elettorale, possiamo rispondere
in due modi. Se parliamo seriamente dobbiamo affermare che Berlusconi, piaccia o non
piaccia, gode di un ampio consenso elettorale e rispettando lui si rispettano i suoi
elettori. Se invece la vogliamo buttare a ridere, potremmo ricordare che Rutelli,
D'Alema, Veltroni, Bersani, si sono lungamente incontrati, 'nascostamente', con Silvio
Berlusconi. Questo invece è un incontro che è avvenuto alla luce del sole. Ci
mancherebbe che i leader dei due maggiori partiti non s'incontrassero! E' l'incontro
dei due leader delle due vere grandi coalizioni. Non possiamo invece considerare tali
quelle create dal Quirinale e capeggiate da Letta e Alfano. Può non piacere, ma la
democrazia è questa". (Intervista a cura di Fabio Colagrande)