Ucraina: ancora proteste. Mons. Gudziak: un movimento pacifico che va ascoltato
In Ucraina, scontri tra manifestanti 'europeisti' e filogovernativi sono scoppiati
a Kiev, dove decine di militanti del partito delle Regioni del presidente Viktor Ianukovich
si sono presentati in piazza Maidan chiedendo ai pro-Ue di smantellare le barricate.
Preoccupazione è stata espressa dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti dopo l’approvazione
di un pacchetto di riforme che vieta le manifestazioni di protesta. Nel Paese, da
due mesi, migliaia di persone sono scese in strada contro il governo e in favore dell'integrazione
europea. La legge prevede pene fino a 15 giorni di carcere per l'installazione non
autorizzata di tende o stand in luoghi pubblici. Si rischiano cinque anni in
caso di blocco degli edifici governativi. Intanto, dopo il via libera delle norme,
numerosi dirigenti statali si sono dimessi o sono stati sollevati dall'incarico, tra
di loro anche il capo di Stato maggiore dell'esercito. Al microfono di Laura Ieraci,
il commento di mons. Boris Gudziak, vescovo dell'Eparchia ucraina di
San Volodymyr a Parigi:
R. – Le proteste
sono molto più che una reazione al rifiuto europeo da parte del governo ucraino. Per
capire bene la situazione del Paese, è importante sapere che la storia del 20.mo secolo,
in Ucraina, è stata proprio tremenda. Diciassette milioni di persone sono state uccise,
in un modo o in un altro, durante tutto il secolo. Questo è, dunque, un movimento
di dignità, di libertà, non solo politica ma antropologica, psicologica e spirituale.
Milioni di persone hanno già partecipato negli ultimi due mesi a questo movimento
del maidan, che vuol dire “piazza”, diffuso in tutta l’Ucraina. E’ un fenomeno
attraverso il quale gli ucraini manifestano il desiderio di vivere in un altro modo.
D.
– Come sono coinvolte le Chiese in Ucraina in questo movimento?
R. – Le Chiese
sono, più o meno, tutte presenti. L’8 dicembre scorso, il Consiglio delle Chiese e
le organizzazioni religiose ucraine hanno presentato una dichiarazione pubblica comune.
In essa, si dichiara che il presidente dovrebbe ascoltare la gente, che non si può
far ricorso alla violenza e che il Paese non dovrebbe essere diviso. I leader ecclesiastici
hanno richiamato tutte le parti al dialogo, indicando proprio nel dialogo l’unica
via d’uscita da questa crisi. Seguendo, dunque, le parole di Papa Francesco – il pastore
abbia addosso "l’odore delle pecore" – la Chiesa in Ucraina cerca di essere vicino
alla gente. E in queste settimane, centinaia di sacerdoti sono presenti, pregando,
ascoltando le confessioni. Ogni giorno, comincia con una preghiera ecumenica, cosa
che non ha precedenti. La preghiera è, dunque, pubblica in un Paese con diverse religioni
che però agiscono insieme. E’ un maidan di gioia, è un’espressionedi
quanto è scritto nel Vangelo.
D. – Abbiamo sentito, però, delle intimidazioni,
delle minacce da parte del governo ai cittadini e pure adesso alla Chiesa...
R.
– Per la Chiesa ucraina greco-cattolica, non è una novità. Durante il 20.mo secolo,
dal ‘45 all’ ‘89, tutti i vescovi sono stati arrestati e la Chiesa era clandestina.
Così è stata ridotta, attraverso questa persecuzione, a 320 sacerdoti, ma ha mantenuto
intatti i suoi principi. Quando è uscita dalla clandestinità, nell’89, la Chiesa ucraina
greco-cattolica aveva un’autorità morale singolare nel Paese. E’ stata anche molto
dinamica in questi anni. Se un tempo aveva 300 sacerdoti, con un’età media di 70 anni,
oggi ha tremila sacerdoti con un’età media di 40 anni. Nonostante sia una Chiesa minoritaria,
avendo cinque milioni di fedeli in un Paese di 46 milioni, probabilmente la Chiesa
ucraina greco-cattolica è l’organismo più grande nella società civile. Questa minaccia,
dunque, è una minaccia molto seria e c’è una grande tensione, con il controllo dei
media, che è già cominciato. Le autorità di governo possono infatti cercare di controllare
anche le Chiese.