Come la mafia si è estesa al Nord. In un "Atlante" le strategie della malavita
A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? Perché queste hanno
ampliato la loro influenza? L'"Atlante delle mafie", volume secondo, edito da Rubbettino,
prova a rispondere a queste domande. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato
riproducibile nel tempo e non solo nel Mezzogiorno, ma anche nel Settentrione. Alessandro
Guarasci ha sentito uno degli autori, il sociologo Enzo Ciconte:
R. – Il
fattore scatenante, sostanzialmente, è stato il fatto che al Nord si poteva vendere
droga in modo ampio e in modo sostanzialmente tranquillo, a parte gli arresti consueti
ad un’attività criminale.
D. – Dalla droga si è passati poi velocemente al
traffico di armi e ai grandi appalti pubblici. Quanto hanno contato, secondo lei,
le complicità con una parte dell’imprenditoria locale?
R. – Senza la complicità,
un mafioso che arriva al Nord non ha la possibilità di agganci. Gli uomini del Nord
non hanno saputo contrastare le mafie, anzi hanno fatto affari e hanno avuto un rapporto
di forte complicità, nonostante il Sud abbia insegnato loro che queste cose non si
devono fare.
D. – Lei ha visto ritardi nell’azione di contrasto sia delle forze
dell’ordine sia della magistratura in questi ultimi anni?
R. – In questi ultimi
anni per la verità no. In generale, però, ha funzionato una sorta di secondopolo.Non sono mai stati lo Stato, le forze dell’ordine, la magistratura ad attaccare
preventivamente la mafia, a fare i conti con questo fenomeno. La mafia è stata attaccata
quando ha superato una certa soglia. L’ultima di queste soglie sono state le stragi
di Falcone e Borsellino, tant’è vero che la mafia, Cosa Nostra, oggi è ridotta ai
minimi termini, e cosa che sta succedendo solo adesso per quanto riguarda la ‘ndrangheta.
Anche lì, infatti, la cifra è stata data dall’omicidio di Fortugno e dalla strage
di Duisburg in Germania.