Repubblica Centrafricana: rischio genocidio, l'Onu lancia l'allarme
In Repubblica Centrafricana, “ci sono tutti gli elementi per un genocidio”. L’allarme
è arrivato dall’Ufficio per le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite. Intanto,
si attende l’insediamento di un nuovo presidente ad interim e continua la contrapposizione
tra milizie Seleka e “anti-balaka”. “Chiediamo ai fedeli di fare attenzione” a non
farsi “strumentalizzare”, è l’appello dell’arcivescovo di Bangui, mons. Nazapalainga,
a nome anche degli altri leader religiosi. Per una testimonianza, Davide Maggiore
ha raggiunto telefonicamente nel Paese padre Giuseppe Brisacani, missionario
comboniano:
R. – Negli ultimi
giorni, dopo le dimissioni del presidente Djotodia, i soldati dell’armata Seleka,
i ribelli, sono partiti avendo paura. Addirittura, la gente ha manifestato con grida
di gioia la partenza di questi soldati ribelli. La folla era composta in gran parte
da giovani riscaldati dalla situazione, esasperati da mesi e mesi di sofferenze, da
angherie di ogni tipo. Il giorno dopo, l’auto dei Seleka è tornata a Mongoumba, non
potendo raggiungere Bangui e non potendo spostarsi sulle strade nazionali. Nel frattempo,
sono intervenuti gli anti-balaka che, rivoltatisi a loro volta contro i Seleka, hanno
cominciato a fare dei posti di blocco dappertutto. Con la mia comunità ci siamo spostati
per venire qui a Bangui e abbiamo dovuto attraversare altre cittadine, altre regioni,
e abbiamo trovato disordini per strada.
D. – Quindi, è una tensione che continua,
una calma che, anche dove e quando c’è, è precaria...
R. – Attraversando per
esempio la cittadina di M’Bata, abbiamo trovato quasi tutte le botteghe e le case
dei musulmani bruciate e distrutte. I musulmani sono partiti tutti. Sulla strada nazionale
per arrivare a Bangui s’incontrano quattro o cinque moschee e sono tutte sventrate,
bruciate e distrutte. La situazione è molto, molto tesa. Da noi, in parrocchia, in
una sala parrocchiale, hanno dormito dei musulmani per tre notti, perché avevano paura
di dormire nelle loro case. Di giorno, uscivano per andare a sbrigare i loro affari,
ma di notte venivano a dormire da noi.
D. – Che speranze riponete nella presenza
delle truppe internazionali sul territorio centrafricano?
R. – In certe occasioni
sono intervenuti, ma in tante altre occasioni sono intervenuti con molta più cautela.
Si aspettava fin dall’inizio un intervento più massiccio, ma ovviamente stanno facendo
il possibile.
D. – E adesso, siamo in piena transizione istituzionale. Tra
pochi giorni, dovrebbe essere annunciato il nome del nuovo presidente di transizione.
Ma c’è speranza che, cambiando le istituzioni, la situazione possa migliorare?
R.
– Noi speriamo di sì, cambiando le cose, con un intervento più massiccio delle forze
esterne, che non dovrebbe essere solo militare, dovrebbe essere un intervento di tipo
politico. La speranza di cambiamento c’è, comunque.
D. – In questo quadro,
la Chiesa come cerca di invitare alla concordia?
R. – Prima ancora che ci fossero
negli ultimi giorni questi scontri forti fra fazioni, la Chiesa ha promosso incontri
di tipo interreligioso. E’ noto l’impegno dell’arcivescovo di Bangui. La stessa cosa
si è ripetuta nell’interno: nei villaggi, nelle cittadine dell’interno. Dove si è
potuto, la Chiesa cattolica ha sempre promosso in questi ultimi tempi degli incontri
con i musulmani, con i loro responsabili religiosi e con le altre Chiese cristiane,
le Chiese protestanti. E fino a un certo punto sembrava che la cosa andasse avanti
bene, ma per quello che ho visto con i miei occhi mercoledì, sulla strada nazionale,
se non si argina, si può temere il peggio.