Mons. Parolin: la priorità è la trasformazione missionaria della Chiesa
“La priorità è la trasformazione missionaria della Chiesa”: lo ha affermato il segretario
di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin, in un’intervista rilasciata al Centro Televisivo
Vaticano. Il presule - che verrà creato cardinale nel Concistoro del prossimo 22 febbraio
– ha parlato della necessità di una diplomazia umana che promuova la cultura dell’incontro.
Ascoltiamo la riflessione di mons. Pietro Parolin, a partire dal significato
del suo nuovo servizio alla Chiesa. L’intervista è di Barbara Castelli:
R. – Io ho incominciato
nel novembre scorso, quindi sono più o meno due mesi che mi trovo in questo incarico.
Potrei dire che si tratta ancora della fase di avvio, una fase dedicata soprattutto
allo studio, alla conoscenza e all’approfondimento dei vari problemi attraverso la
documentazione e soprattutto attraverso l’incontro con le persone. Mi rendo conto
che si tratta di un servizio molto impegnativo, di un servizio molto esigente e pieno
di responsabilità. Ma vorrei sottolineare che si tratta soprattutto di un servizio
molto appassionante in questa nuova stagione della Chiesa, inaugurata dal Pontificato
di Papa Francesco. E, per quanto riguarda le priorità, come segretario di Stato, primo
e diretto collaboratore del Papa, non possono essere altro che le priorità del Papa,
quelle priorità sulle quali ha insistito fin dai primi giorni del suo Pontificato
e che poi ha raccolto in maniera più organica nella “Evangelii Gaudium”. Direi che
la priorità è la trasformazione missionaria della Chiesa: una Chiesa in uscita, come
dice lui, una Chiesa in stato permanente di missione. E questa caratteristica, questo
rinnovamento ecclesiale, questa conversione pastorale, deve riguardare tutte le strutture
della Chiesa, e deve riguardare anche la Curia Romana e deve riguardare anche la diplomazia
ecclesiastica che sono un po’ i due ambiti principali in cui si colloca l’attività
del segretario di Stato. Poi vorrei dire che spero si possa fare tutto con il cuore:
che riusciamo veramente a fare tutto per il Signore e che facendo così, riusciamo
a toccare il cuore delle persone.
D. – Papa Francesco, sin dai primi mesi del
suo Pontificato, sembra aver toccato il cuore dell’uomo bisognoso di misericordia
e comprensione pastorale. Anche dal punto di vista della diplomazia, possiamo annotare
pagine nuove di storia per la Santa Sede? R. – Sì, io direi che ogni giorno si
scrivono pagine nuove con la storia della diplomazia della Santa Sede, pagine nuove
che si aggiungono alle pagine del passato: vorrei ricordare in questo contesto il
primo centenario, che cade quest’anno, dell’inizio della Prima Guerra mondiale – il
Papa vi ha fatto riferimento durante il discorso al Corpo Diplomatico, il 13 gennaio
scorso. Una pagina evidentemente gloriosa, se si pensa all’immensa opera compiuta
da Benedetto XV per fermare quella che lui chiamava “l’inutile strage”. Ecco, per
quanto riguarda le nuove pagine io direi che vanno sottolineati, prima di tutto, i
numerosi incontri che in questi primi mesi del Pontificato ci sono stati con capi
di Stato, con capi di governo, con responsabili delle organizzazioni internazionali,
desiderosi di incontrare Papa Francesco e di confrontarsi con lui sui grandi problemi,
sui grandi temi e sulle grandi sfide del’umanità. E poi, vorrei ricordare in modo
particolare – credo che sia imprescindibile farlo – la Giornata di preghiera e di
digiuno per la pace in Siria: questa è stata una pagina veramente importante nell’attività
della diplomazia, promossa dal Santo Padre stesso, che in fin dei conti ha espresso
proprio la forza morale dell’attività della Chiesa; il Papa che ha saputo raccogliere
e interpretare il grido di pace che sale dalla martoriata popolazione siriana e che
sale da ogni cuore desideroso di vivere in maniera umana, in maniera solidale la sua
vicenda. E quindi, ha saputo interpretarlo e tradurlo in un grande movimento che ha
portato anche i suoi frutti, dando esempio di una forza morale, di una forza spirituale
che è un po’ quello che la Santa Sede testimonia nei confronti delle sue relazioni
con gli Stati.
D. – Parlando di diplomazia, Papa Francesco utilizza i termini
“etica della solidarietà” e “utopia del bene. Qual è un suo commento?
R. –
Il Papa si costituisce, in questo caso, un po’ come la coscienza morale dell’umanità.
E mi pare, riprendendo l’affermazione che facevo prima, come questo richiamo che egli
fa sia un richiamo che venga ascoltato, anche da parte delle Cancellerie, da parte
dei Governi. Il fatto che molti capi di Stato e di Governo vengano qui significa,
appunto, che c’è un’attenzione speciale a tutto quello che il Papa dice e a tutto
che il Papa fa. E io credo che anche a livello di diplomazia. Io vorrei sottolineare
questo: a volte sembra che gli appelli del Papa non trovino una risposta immediata;
però, voglio dire che c’è anche un grande desiderio di bene, c’è anche un grande sforzo
per costruire veramente la pace nel mondo. Penso, per esempio, allo sforzo della diplomazia
multilaterale, nel campo dei diritti umani, per salvaguardare i diritti umani; nel
campo del disarmo, per evitare una tragedia nucleare; nel campo delle regole del commercio,
nel campo dell’ambiente … Ecco, credo che questi richiami del Papa – che d’altra parte
sono sempre stati caratterizzanti l’attività dei Pontefici, anche in passato – trovino
un’accoglienza e lentamente si facciano strada nella coscienza e nell’attività dell’umanità.
D.
– La diplomazia dovrebbe unire non solo i popoli, ma anche le persone. Quali sono
– a suo avviso – i principi fondamentali che dovrebbero essere alla base di quella
che possiamo definire una “diplomazia umana”?
R. – La diplomazia deve essere
umana. Quindi, credo che debba avere al suo centro la persona umana: il primo principio
mi pare questo. E vorrei dire che Papa Francesco ci spinge a considerare questa centralità
della persona umana non in maniera astratta – l’uomo come tale – ma ogni singolo uomo,
ogni singola persona deve essere al centro della nostra azione, soprattutto le persone
dei poveri, le persone degli emarginati, le persone dei deboli, le persone più vulnerabili,
le persone che non hanno voce. Io direi che il principio – la centralità della persona
– debba essere lo sforzo di fare della diplomazia una strada per l’incontro: anche
qui, il Papa sottolinea molto la dimensione della cultura dell’incontro, quindi l’uscire
dall’isolamento e incontrarsi, perché solamente incontrandosi ci si può capire, ci
si può accettare e si può collaborare. Un secondo aspetto è la solidarietà e il terzo
aspetto è prendersi a cuore le situazione degli altri, contro questa cultura dell’indifferenza
che il Papa continua a denunciare. Prendersi a cuore, ancora una volta, le singole
persone e le loro situazioni di sofferenza. In fin dei conti, potremmo dire che il
principio di una diplomazia umana è l’amore, è l’attenzione alla persona, l’amore
per ciascun essere umano che viene in questo mondo.
D. - In un contesto internazionale,
quale apporto specifico può fornire la diplomazia vaticana? Può aiutare ad allargare
gli orizzonti del dialogo e della mutua comprensione?
R. – Sì, certamente.
Io credo che questo sia il nostro compito, questo è sempre stato il compito della
diplomazia vaticana. In questo momento, in cui ci sono così tanti conflitti, in cui
il mondo vive tante lacerazioni e tante contrapposizioni, io credo che siamo chiamati
più che mai a promuovere e a consolidare questo incontro, questo dialogo e questo
rispetto gli uni degli altri. Io credo che una delle sfide principali del mondo di
oggi, quando le diversità si sono ravvicinate e si sono incontrate e possono dare
origine a scontri, a conflitti, ecco, la grande sfida – anche della diplomazia ecclesiastica,
come di tutte le diplomazie – è fare sì che queste differenze e queste diversità –
che possono essere politiche, culturali, religiose – non diventino motivo di contrapposizione
e di lotta, ma di arricchimento reciproco. Trovare la strada proprio per poterci arricchire
con le nostre diversità. E questo mi pare che sia il compito della diplomazia in genere,
e della diplomazia vaticana in particolare.
D. – Quali sono le aree geografiche
nelle quali la Santa Sede deve investire maggiormente, e quali sono i traguardi di
questi ultimi anni che possiamo enumerare?
R. – Il Papa, come padre e pastore
della Chiesa universale, ha a cuore tutte le situazioni: in qualsiasi parte del mondo
ci siano difficoltà e sofferenze e contrasti, il Papa là è presente con il suo cuore
di rappresentante del Signore. Direi che per quanto riguarda l’Europa, mi pare che
questa sia un’area che merita attenzione, soprattutto per quello che concerne la costruzione
di una Casa europea: mi pare molto importante questo; dove la Chiesa possa dare un
suo contributo perché ci sia un’animazione di valori, e questa Casa non sia soltanto
una costruzione politica o economica, ma sia una costruzione e una condivisione di
valori profondi che stanno nell’anima dell’Europa e che furono un po’ i motivi ispiratori
dei Padri dell’Europa. Però, certo, oggi l’attenzione si sposta soprattutto nel Sud
del mondo, ed allora ecco l’attenzione a quelle realtà del Sud del mondo dove esistono
conflitti e dove il primo impegno è proprio quello di aiutare a ritrovare la pace,
una pace che sia la base, il fondamento – anche – per uno sviluppo umano integrale.