Thailandia: il governo conferma le elezioni anticipate il 2 febbraio
Confermata dal governo di Yingluck Sinawatra la data del 2 febbraio per le elezioni
anticipate in Thailandia. La decisione è stata annunciata al termine di una riunione
convocata per discutere della proposta di un rinvio del voto, formulata dalla Commissione
elettorale centrale: erano stati invitati a presenziarvi rappresentanti di tutti i
partiti e dei gruppi che aderiscono alle manifestazioni di piazza in corso da quasi
due mesi. Quella delle elezioni è la giusta carta per mettere la parola fine alle
proteste contro l’esecutivo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Emanuele
Giordana, direttore di “Lettera 22”:
R. – Quella
delle elezioni è la carta più dubbia per mettere fine alle proteste, perché coloro
che protestano non vogliono le elezioni del 2 febbraio e per un motivo molto semplice:
queste elezioni, molto probabilmente, saranno nuovamente vinte – diciamo – dalla famiglia
Shinawatra, di cui la sorella Yingluck rappresenta in questo momento il potere. Ecco
quindi che le elezioni – che i dimostranti vogliono posposte e che invece il governo
continua dire che si terranno il 2 febbraio – sono l’ennesimo punto di non ritorno.
D. – Quale il ruolo del re, in un momento di grande destabilizzazione e transizione?
R.
– Ci sono due elementi che io metterei vicini: il re e l’esercito. In questo momento
sono tutti e due tranquilli, stanno forse aspettando di capire quale deve essere il
momento in cui entrare nuovamente in scena. Dobbiamo ricordare che tutto è cominciato
nel settembre del 2006, con il colpo di Stato militare, concordato con il re, che
mise Shinawatra, l’ex premier, fuori della politica thailandese e lo costrinse, di
fatto, all’esilio.
D. – La situazione sembra essere ora abbastanza tranquilla
nel Paese, anche se questa notte un ordigno di modesto potenziale è scoppiato davanti
all’abitazione della famiglia di Vejajiva, già premier e ora leader del Partito democratico,
principale formazione – lo ricordiamo – dell’opposizione. Qual è il ruolo in questo
momento di Vejajiva?
R. – Il panorama dell’opposizione è molto variegato, ma
gli elementi sono un po’ sempre gli stessi: lui, come molti altri, rappresenta una
parte dell’elite thailandese, che è quella che si è opposta alle vittorie economiche
di Shinawatra. In un certo senso, lo scontro che polarizza il Paese – spesso si è
detto la “campagna contro la città”, perché i voti a Shinawatra arrivavano e arrivano
soprattutto dalle campagne – riguarda in realtà anche uno scontro tra colossi economico-finanziari.
Shinawatra riuscì a fare una politica che mise un po’ da parte la vecchia elite,
che gli ha giurato una guerra senza confini. E il re è vicino a questa vecchia elite:
ecco perché i giochi potrebbero decidersi nei prossimi giorni, prima delle elezioni
del 2 febbraio.
D. – Proprio dal punto di vista economico, le manifestazioni
stanno di fatto paralizzando la Thailandia. Cosa rischia questo Paese, che invece
si sta imponente sulla scena internazionale come un'economia emergente tra le più
importanti?
R. – Rischia molto, perché l’instabilità – come insegna la storia
di tutti i Paesi, compresa quella dell’Italia – è la carta peggiore che un Paese può
ritrovarsi tra le mani. E’ vero che la Thailandia è uno dei grandi Paesi emergenti,
che è anche riuscita a superare una crisi economica molti anni fa, che ha messo in
crisi tutti gli altri Paesi dell’area. Ma è anche vero che Bangkok deve fare attenzione
ai nuovi soggetti che sono arrivati sulla scena. E non parliamo del Vietnam, che è
già una potenza economica da molti anni, ma della Cambogia oppure dell’Indonesia,
che è un Paese che è riuscito a raggiungere una forte stabilità politica – direi –
e che quindi sta guadagnando terreno sul piano delle economie dei Paesi emergenti
del Sud-Est Asiatico. La Thailandia, insomma, rischia di perdere punti.