2014-01-15 07:35:01

La Tunisia ha celebrato ieri i tre anni dalla caduta di Ben Alì. Attesa per la nuova Costituzione


E’ stata una cerimonia dal profilo basso quella che ieri a Tunisi ha ricordato il terzo anniversario della deposizione del regime di Ben Ali, grazie alla Rivoluzione dei gelsomini che ha dato il via alle diverse primavere arabe. In questo momento, infatti, l'attenzione del Paese è tutta puntata sui lavori per la stesura della nuova Costituzione, uno dei punti cardini della rivoluzione. Ma ci sono altri problemi da affrontare. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

“La Tunisia, tre anni dopo, è ancora lontana dall'aver raggiunto gli obiettivi per cui molte persone si sono sacrificate”. Ad ammetterlo è stato lo stesso presidente Marzouki, che in un messaggio televisivo ha anche sottolineato che il Paese è l’unico “ad aver realizzato un miracolo preservando la democrazia e il modello modernista”. Modello che deve necessariamente passare attraverso la nuova carta costituzionale, ancora non uscita dall'aula dell'assemblea costituente. 150 gli articoli presenti; solo un terzo quelli finora licenziati. Alcuni garantiscono la parità dei sessi – la prima volta che accade in un Paese arabo – e la libertà di espressione e di stampa. Certamente un passo avanti, così come riconosciuto da molti osservatori, ma pur sempre un “primo” passo verso quel difficile percorso di normalizzazione che rischia di rallentare di fronte a fenomeni quali le divisioni politiche e l’insicurezza sociale ed economica. Da una parte, infatti, se crescono i prezzi e diminuisce il potere d'acquisto della gente, dall’altra restano delle ferite aperte gli omicidi politici dei due carismatici esponenti dell'opposizione, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. Tutto questo produce disaffezione nei confronti delle Istituzioni; fenomeno grave, proprio in questo momento in cui la Tunisia ha bisogno di guardare al proprio futuro puntando su fiducia e unità.

Sulle difficoltà per la stesura della nuova costituzione, Giada Aquilino ne ha parlato con Marcella Emiliani, giornalista e scrittrice che ha seguito l’evolversi della "primavera araba":RealAudioMP3

R. - C’è al momento l’incapacità politica di Ennahda – il partito che ha vinto le elezioni nel 2011 – di dar risposte ai due più grossi problemi del Paese: il problema economico e quello della sicurezza. In questi tre anni la sicurezza per i cittadini tunisini è diminuita di giorno in giorno, perché Ennahda si è trovata ad essere sotto il fuoco di fila sia dell’opposizione laica – o di sinistra – sia dei salafiti. Quella salafita è una formazione che è stata ormai accusata non solo dell’assalto due anni fa al consolato americano ma, soprattutto per quanto riguarda la situazione interna, ai salafiti sono stati imputati i due assassini politici che hanno avvelenato ancor più il clima della Tunisia: quelli dei due esponenti dell’opposizione - Chokri Belaid nel febbraio e Mohamed Brahimi nel luglio del 2013 - che si opponevano maggiormente ad una deriva islamista nel Paese. Il tutto favorisce chiaramente chi è interessato a seminare il caos in Tunisia. Per cui la situazione è grave, ma finché la crisi economica rimarrà irrisolta la gioventù sarà sempre più tentata di ascoltare le sirene degli agitatori.

D. – Al momento, all’Assemblea Costituente è saltata l’approvazione di due articoli: uno che prevede che il premier definisca la politica generale dello Stato e ne garantisca l’attuazione; l’altro relativo ai requisiti per la carica di presidente. In particolare si dice che la candidatura “è un diritto per ogni elettore ed elettrice tunisino di nascita, la cui religione è l’Islam”, con un’età compresa tra i 40 ed i 75 anni…

R. – Qui si deve decidere se la presidenza sarà una presidenza esecutiva, oppure no cioè una presidenza all’americana o all’italiana, per fare un esempio. Le opposizioni non vogliono che si concentri troppo potere in una carica sola, venendo da esperienze di due dittature, quella di Burguiba e quella di Ben Ali. Secondariamente, l’obiezione dell’opposizione è che in questo momento - nonostante il calo di popolarità - sono le formazioni di tipo islamico ad avere ancora una maggioranza di consensi, per cui si vuole anche evitare che facciano l’en plein di cariche sia a livello di presidenza della repubblica, sia a livello di premierato.

D. – Nei giorni scorsi, invece, è stato approvato l’articolo che introduce il principio della parità tra uomini e donne nelle cariche elettive politiche ed amministrative. Che segnale è?

R. – E’ un segnale molto buono. Va detto che la Tunisia, in virtù della sua primissima Costituzione, aveva già stabilito questa parità, ma non la parità assoluta. Diciamo che nel mondo arabo questo è un segnale fortissimo. Però il punto fondamentale rimane questo: quanto e come l’Islam debba essere la radice del diritto. È su quello che c’è lo scontro più profondo. La cosa interessante del caso tunisino è che non essendoci un esercito potente come quello che c’è in Egitto - che ha dimissionato il presidente eletto Morsi – chi si fa carico della mediazione politica tra l’opposizione laica e l’universo islamista è la centrale sindacale – l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini – che è quella che ha dato il via alla "Primavera dei gelsomini", che tutt’oggi gioca un ruolo politico molto importante.

Ultimo aggiornamento: 15 gennaio







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