La Tunisia ha celebrato ieri i tre anni dalla caduta di Ben Alì. Attesa per la nuova
Costituzione
E’ stata una cerimonia dal profilo basso quella che ieri a Tunisi ha ricordato il
terzo anniversario della deposizione del regime di Ben Ali, grazie alla Rivoluzione
dei gelsomini che ha dato il via alle diverse primavere arabe. In questo momento,
infatti, l'attenzione del Paese è tutta puntata sui lavori per la stesura della nuova
Costituzione, uno dei punti cardini della rivoluzione. Ma ci sono altri problemi da
affrontare. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
“La Tunisia,
tre anni dopo, è ancora lontana dall'aver raggiunto gli obiettivi per cui molte persone
si sono sacrificate”. Ad ammetterlo è stato lo stesso presidente Marzouki, che in
un messaggio televisivo ha anche sottolineato che il Paese è l’unico “ad aver realizzato
un miracolo preservando la democrazia e il modello modernista”. Modello che deve necessariamente
passare attraverso la nuova carta costituzionale, ancora non uscita dall'aula dell'assemblea
costituente. 150 gli articoli presenti; solo un terzo quelli finora licenziati. Alcuni
garantiscono la parità dei sessi – la prima volta che accade in un Paese arabo – e
la libertà di espressione e di stampa. Certamente un passo avanti, così come riconosciuto
da molti osservatori, ma pur sempre un “primo” passo verso quel difficile percorso
di normalizzazione che rischia di rallentare di fronte a fenomeni quali le divisioni
politiche e l’insicurezza sociale ed economica. Da una parte, infatti, se crescono
i prezzi e diminuisce il potere d'acquisto della gente, dall’altra restano delle ferite
aperte gli omicidi politici dei due carismatici esponenti dell'opposizione, Chokri
Belaid e Mohamed Brahmi. Tutto questo produce disaffezione nei confronti delle Istituzioni;
fenomeno grave, proprio in questo momento in cui la Tunisia ha bisogno di guardare
al proprio futuro puntando su fiducia e unità.
Sulle difficoltà per la stesura
della nuova costituzione, Giada Aquilino ne ha parlato con Marcella Emiliani,
giornalista e scrittrice che ha seguito l’evolversi della "primavera araba":
R. - C’è al
momento l’incapacità politica di Ennahda – il partito che ha vinto le elezioni nel
2011 – di dar risposte ai due più grossi problemi del Paese: il problema economico
e quello della sicurezza. In questi tre anni la sicurezza per i cittadini tunisini
è diminuita di giorno in giorno, perché Ennahda si è trovata ad essere sotto il fuoco
di fila sia dell’opposizione laica – o di sinistra – sia dei salafiti. Quella salafita
è una formazione che è stata ormai accusata non solo dell’assalto due anni fa al consolato
americano ma, soprattutto per quanto riguarda la situazione interna, ai salafiti sono
stati imputati i due assassini politici che hanno avvelenato ancor più il clima della
Tunisia: quelli dei due esponenti dell’opposizione - Chokri Belaid nel febbraio e
Mohamed Brahimi nel luglio del 2013 - che si opponevano maggiormente ad una deriva
islamista nel Paese. Il tutto favorisce chiaramente chi è interessato a seminare il
caos in Tunisia. Per cui la situazione è grave, ma finché la crisi economica rimarrà
irrisolta la gioventù sarà sempre più tentata di ascoltare le sirene degli agitatori.
D.
– Al momento, all’Assemblea Costituente è saltata l’approvazione di due articoli:
uno che prevede che il premier definisca la politica generale dello Stato e ne garantisca
l’attuazione; l’altro relativo ai requisiti per la carica di presidente. In particolare
si dice che la candidatura “è un diritto per ogni elettore ed elettrice tunisino di
nascita, la cui religione è l’Islam”, con un’età compresa tra i 40 ed i 75 anni…
R.
– Qui si deve decidere se la presidenza sarà una presidenza esecutiva, oppure no cioè
una presidenza all’americana o all’italiana, per fare un esempio. Le opposizioni non
vogliono che si concentri troppo potere in una carica sola, venendo da esperienze
di due dittature, quella di Burguiba e quella di Ben Ali. Secondariamente, l’obiezione
dell’opposizione è che in questo momento - nonostante il calo di popolarità - sono
le formazioni di tipo islamico ad avere ancora una maggioranza di consensi, per cui
si vuole anche evitare che facciano l’en plein di cariche sia a livello di presidenza
della repubblica, sia a livello di premierato.
D. – Nei giorni scorsi, invece,
è stato approvato l’articolo che introduce il principio della parità tra uomini e
donne nelle cariche elettive politiche ed amministrative. Che segnale è?
R.
– E’ un segnale molto buono. Va detto che la Tunisia, in virtù della sua primissima
Costituzione, aveva già stabilito questa parità, ma non la parità assoluta. Diciamo
che nel mondo arabo questo è un segnale fortissimo. Però il punto fondamentale rimane
questo: quanto e come l’Islam debba essere la radice del diritto. È su quello che
c’è lo scontro più profondo. La cosa interessante del caso tunisino è che non essendoci
un esercito potente come quello che c’è in Egitto - che ha dimissionato il presidente
eletto Morsi – chi si fa carico della mediazione politica tra l’opposizione laica
e l’universo islamista è la centrale sindacale – l’Unione Generale dei Lavoratori
Tunisini – che è quella che ha dato il via alla "Primavera dei gelsomini", che tutt’oggi
gioca un ruolo politico molto importante.