Delegazione episcopale a Gaza. Don Remery: c'è gente che non ha il necessario per
vivere
Prosegue in Terra Santa il tradizionale pellegrinaggio del Coordinamento dei vescovi
di Nord America, Canada, Sud Africa e Unione Europea: obiettivo del viaggio è quello
di sostenere la giustizia e la pace nell’area e supportare gli sforzi della Chiesa
locale. La delegazione è già stata a Gerusalemme e Betlemme. Di particolare interesse
la visita a Gaza. A questo proposito, la nostra inviata Susan Hodges ha intervistato
uno dei membri della delegazione, don Michel Remery, vice-segretario generale
del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa:
R. - È molto
emozionante stare in questa terra che conosciamo soltanto da fuori per le guerre e
per i problemi che ci sono e scoprire che è una terra molto antica, con una tradizione
molto bella, molto profonda della nostra fede. Ci sono stati grandi Santi in questa
zona. E la tradizione della Chiesa dice che Gesù, in cammino vero l’Egitto, ha avuto
un momento di riposo con la sua famiglia a Gaza. Dunque, è una terra che fa parte
veramente della Terra Santa.
D. – Quale il significato di questo vostro incontro
con la piccola comunità cattolica di Gaza?
R. - Vivere questo momento insieme
con la comunità, soprattutto ieri durante la Messa, è stato molto bello: abbiamo potuto
pregare insieme, lodare il Signore per aver dato la sua vita per noi, per il suo Battesimo.
Abbiamo poi potuto scambiare qualche parola dopo la Messa e questo mi ha fatto una
grande impressione perché ho potuto parlare con gente “normale”, giovani, vecchi,
che vivono in questa terra, che sono cristiani e che hanno difficoltà a vivere la
loro fede a causa del modo con cui questa regione viene governata, a causa del fatto
che è molto difficile uscire da questa terra. Comunque, è gente che ha espresso anche
gioia per la nostra visita, gioia di poter celebrare il Natale e il Battesimo del
Signore insieme a noi.
D. – La situazione a Gaza è drammatica. Ma ci sono
speranze?
R. – Sì, soprattutto nei giovani c’è speranza: ma non sanno da dove
essa venga. E’ infatti una speranza “sovrumana”: umanamente nessuno sa come risolvere
la situazione, invece c’è una certa speranza che ho visto nei loro occhi. Questo è
stato molto edificante perché abbiamo ascoltato anche storie molto tristi, di persone
che hanno difficoltà, che non hanno il necessario per vivere. Allo stesso tempo però
c’è questa testimonianza di fede cristiana molto forte. Così possiamo dire che non
soltanto la nostra visita li ha edificati, ma loro, con questa fiducia, con questa
speranza cristiana, hanno edificato anche noi.