Incontro in Vaticano sull’alcoldipendenza. Mons. Sorondo: un problema sottovalutato
La dipendenza da alcol, le implicazioni etiche e morali legate a questo fenomeno e
le strategie di prevenzione e di cura. Sono stati questi i temi al centro della Conferenza
sul consumo dannoso di alcol, tenutasi ieri in Vaticano presso la Casina Pio IV, e
organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il consumo pericoloso
di alcol e l’alcoldipendenza rappresentano “un importante problema di salute pubblica
e sociale”. Un problema sottovalutato – ha detto mons. Marchelo Sanchez Sorondo, cancelliere
della Pontificia Accademia delle Scienze – che riguarda ambiti cruciali come la famiglia,
il contesto lavorativo e quello sociale. Il prof. Emanuele Scafato, presidente
della Società italiana di alcologia, ha poi ricordato l’urgenza di rimuovere lo stigma
sociale che etichetta l’alcol come un vizio e non come una malattia:
R. – E’
una delle più importanti patologie che oggi, nel settore delle dipendenze, è stata
identificata come prioritaria in termini di discussioni e soprattutto per l’individuazione
di possibili soluzioni. L’alcoldipendenza va definita, prima di tutto, come una malattia
e non come un vizio ed è, allo stesso tempo, un problema perché espone la persona
al particolare rischio di non essere interessata a una riabilitazione, a una vita
normale. Il senso di vergogna e il senso di esclusione che molto spesso avvolgono
l’alcoldipendente creano una barriera. A questo, poi, si aggiunge una cultura del
trattamento dell’alcoldipendenza che non è ancora uno di quei settori in cui ci sia
una evidenza speciale dell’efficacia del trattamento. Un esempio: su un milione di
alcooldipendenti, stimati in Italia dalla Società italiana di alcologia, appena 60
mila sarebbero in carico ai servizi. Quindi, è chiaro che si tratta di una punta di
un iceberg, che necessità di essere capovolta.
D. – Attraverso quali strumenti
preventivi si può capovolgere questo trend?
R. – Questo lo si può fare
solo attraverso una massima attenzione a quella che è l’identificazione precoce del
rischio alcol correlato, che è l’unica che può consentire all’individuo di incrementare
la consapevolezza che il suo modello del bere è un bere che, sicuramente, va inquadrato
in un contesto di patologia e di abitudine.
D. – E tra le sfide determinanti
ci sono quelle di contrastare il valore attribuito all’uso dell’alcol e di ridurre
le pressioni mediatiche e sociali che incentivano a bere…
R. – Perché tra il
concetto di "consumo" di alcool e "uso" di alcool – quindi uso con la finalità di
ottenere delle reazioni o meglio degli effetti sul proprio organismo, che può essere
la disinibizione, l’euforia, fino poi ad arrivare addirittura alla depressione, perché
l’alcool ha questo tipo di parabola – parliamo ovviamente di qualcosa che è stato
costruito nel tempo. Oggi, noi abbiamo la molecola alcool pervasiva: troviamo bevande
alcoliche un po’ dappertutto e il mercato offre veramente una varietà di bevande alcoliche,
rispetto alle quali soprattutto le popolazioni più giovani sono attratte, anche da
imponenti strategie di marketing. Quindi, pressioni sociali a bere sicuramente maggiori
che in passato e soprattutto coinvolgenti una generazione che sicuramente è più vulnerabile:
i giovani sino ai 18-20 anni non hanno maturato la capacità di distruggere l’alcol
e quindi ne subiscono maggiormente gli effetti, soprattutto a livello celebrale, con
una diminuzione delle capacità cognitive e di memoria. Ma poi sappiamo che l’alcol
alla guida è la prima causa di morte tra i giovani in Italia, in Europa e nel mondo.
In
vista della Conferenza odierna, tenutasi in Vaticano, il ministro italiano della Salute,
Beatrice Lorenzin, ha sottolineato che “un impegno particolare viene dedicato alle
attività di prevenzione, per le quali sempre più spesso si adotta un modello di approccio
intersettoriale e interdisciplinare collaborando anche con Istituzioni diverse da
quelle sanitarie, secondo gli orientamenti dei più recenti piani e programmi nazionali”.
Il ministro ha infine esprssso vivo apprezzamento per le iniziative e l’impegno che
la Pontificia Accademia delle Scienze ha sempre dedicato a temi volti “alla promozione
del benessere dell'individuo e al progresso della scienza”. Secondo le stime dell'Istituto
Superiore di Sanità, nel 2011 le persone che hanno consumato bevande alcoliche in
modalità “a rischio” sono state “oltre 8 milioni, di cui 6.200.000 maschi e 1.900.000
femmine”. Nonostante questi dati, l’Italia occupa il posto più basso “nella graduatoria
europea relativa al consumo procapite di alcol”.