Tensione in Egitto alla vigilia del voto sulla nuova Costituzione
In Egitto sale nuovamente la tensione alla vigilia del referendum sulla nuova Costituzione
che si terrà oggi e domani. I sostenitori del deposto presidente Morsi hanno invitato
a manifestare e boicottare il voto. La Carta Fondamentale prevede un rafforzamento
dei poteri dei militari e l'esclusione di partiti pro-islamici. Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana
Difesa:
R. - La previsione,
che non hanno mancato di sottolineare diversi analisti, è che il “sì” passi anche
come una larghissima maggioranza. L’Egitto sta tornando a quello che era prima, ovvero
un regime dove il potere principale in termini politici - soprattutto per ciò che
riguarda le questioni politiche di sicurezza e di difesa - sono i militari. Del resto
la stessa Costituzione, sottoposta a referendum, è molto chiara, laddove afferma che
per i prossimi otto anni il ministro della Difesa comunque sarà nominato dalle autorità
militari; il budget dei militari stessi sarà posto fuori dal controllo delle future
autorità civili; e, in generale, la nuova Costituzione riporta in auge quello che
era sempre stato il potere dei militari dall’indipendenza, dopo la Seconda guerra
mondiale, e dopo l’emancipazione dal dominio coloniale britannico. Per cui qualche
secolo fa si sarebbe chiamata “restaurazione” e adesso si chiama in un altro modo.
D. - In questo contesto, il comandante dell’esercito e ministro della Difesa
ribadisce che si candiderà alle prossime presidenziali, se il popolo lo vorrà…
R.
- Credo sia un esito logico e naturale rispetto ad un percorso di un anno che ha portato
il generale Abdel Fattah al Sisi a diventare la principale autorità politica in Egitto.
Del resto il generale al Sisi ha dalla sua il supporto degli Stati del Golfo, in particolare
dell’Arabia Saudita, che è il nuovo padrino politico della transizione post-Mubarak;
ha dalla sua, tutto sommato, la non voluta opposizione della Casa Bianca; e la freddezza
e l’indifferenza delle potenze europee: per cui al Sisi si prepara a candidarsi, a
vincere le future presidenziali egiziane, a fare quello che faceva Mubarak; e, prima
di Mubarak, faceva Sadat; e, prima di Sadat, faceva Nasser.
D. - Ricordando
anche che i militari da sempre detengono anche il controllo dell’economia del Paese…
R.
- Il vero cortocircuito che c’è stato tra le autorità interinali egiziane e la Fratellanza
musulmana è stato proprio - un anno fa - sulle questioni economiche. In sostanza la
Fratellanza musulmana ha fatto quello che non doveva fare: ha toccato gli interessi
economici della classe militare egiziana. Questa era una "soglia rossa" che Morsi
ha oltrepassato e che, di fatto, ha portato alla fine politica di Morsi, riportando
la Fratellanza musulmana entro quei confini in cui i regimi militari pretendenti la
avevano tradizionalmente e sempre tenuta.
D. - Cosa rimane della rivoluzione
del 25 gennaio, che aveva portato invece alla deposizione del regime di Mubarak?
R.
- Credo sostanzialmente che non resti niente! Se allarghiamo il discorso a tutto il
Medio Oriente, a tutto il Nord Africa, credo che delle rivolte della primavera del
2011 non resti nulla di più! In Libia abbiamo un Paese dilaniato dalla lotta tra le
fazioni, separato di fatto ormai in tre macroregioni, quella del Fezzan, della Tripolitania
e della Cirenaica; in Tunisia il governo riesce ad esercitare la propria autorità
a mala pena sulla capitale, mentre il Sud del Paese è fuori controllo; in Siria sappiamo
tutti quello che è successo. Per cui di quella ondata che era nata sulla spinta del
grande discorso di Obama all’Università al-Azhar del Cairo del 2009 sostanzialmente
non rimane niente!