La Tunisia aspetta la nuova Costituzione, a 3 anni dall'uscita di scena di Ben Ali
Ricorreva, ieri, in Tunisia il terzo anniversario della rivolta che, di fatto, portò
all’uscita dalla scena politica di Zine El-Abidine Ben Ali: il 14 gennaio 2011, infatti,
sotto la pressione popolare e in un clima di violenza generale, il presidente abbandonò
il Paese e riparò all’estero. La Tunisia vive ora un momento politico e sociale cruciale.
Al premier Ali Laarayedh, esponente del partito islamico Ennahda, è succeduto
nei giorni scorsi un incarico tecnico a Medhi Jomaa, con il compito di traghettare
il Paese alle elezioni, previste entro fine anno. L’Assemblea costituente - eletta
a ottobre 2011 - si era data come obiettivo l’approvazione dei 10 capitoli della nuova
Costituzione entro ieri. Ma un clima politico avvelenato, l’ascesa di gruppi jihadisti
armati e un conflitto sociale ancora in atto hanno rallentato i lavori. Giada Aquilino
ne ha parlato con Marcella Emiliani, giornalista e scrittrice che ha seguito
l’evolversi della "primavera araba":
R. - C’è al
momento l’incapacità politica di Ennahda – il partito che ha vinto le elezioni
nel 2011 – di dar risposte ai due più grossi problemi del Paese: il problema economico
e quello della sicurezza. In questi tre anni la sicurezza per i cittadini tunisini
è diminuita di giorno in giorno, perché Ennahda si è trovata ad essere sotto
il fuoco di fila sia dell’opposizione laica – o di sinistra – sia dei salafiti. Quella
salafita è una formazione che è stata ormai accusata non solo dell’assalto due anni
fa al consolato americano ma, soprattutto per quanto riguarda la situazione interna,
ai salafiti sono stati imputati i due assassini politici che hanno avvelenato ancor
più il clima della Tunisia: quelli dei due esponenti dell’opposizione - Chokri Belaid
nel febbraio e Mohamed Brahimi nel luglio del 2013 - che si opponevano maggiormente
ad una deriva islamista nel Paese. Il tutto favorisce chiaramente chi è interessato
a seminare il caos in Tunisia. Per cui la situazione è grave, ma finché la crisi economica
rimarrà irrisolta la gioventù sarà sempre più tentata di ascoltare le sirene degli
agitatori.
D. – Al momento, all’Assemblea Costituente è saltata l’approvazione
di due articoli: uno che prevede che il premier definisca la politica generale dello
Stato e ne garantisca l’attuazione; l’altro relativo ai requisiti per la carica di
presidente. In particolare si dice che la candidatura “è un diritto per ogni elettore
ed elettrice tunisino di nascita, la cui religione è l’Islam”, con un’età compresa
tra i 40 ed i 75 anni…
R. – Qui si deve decidere se la presidenza sarà una
presidenza esecutiva, oppure no cioè una presidenza all’americana o all’italiana,
per fare un esempio. Le opposizioni non vogliono che si concentri troppo potere in
una carica sola, venendo da esperienze di due dittature, quella di Burguiba e quella
di Ben Ali. Secondariamente, l’obiezione dell’opposizione è che in questo momento
- nonostante il calo di popolarità - sono le formazioni di tipo islamico ad avere
ancora una maggioranza di consensi, per cui si vuole anche evitare che facciano l’en
plein di cariche sia a livello di presidenza della repubblica, sia a livello di
premierato.
D. – Nei giorni scorsi, invece, è stato approvato l’articolo che
introduce il principio della parità tra uomini e donne nelle cariche elettive politiche
ed amministrative. Che segnale è?
R. – E’ un segnale molto buono. Va detto
che la Tunisia, in virtù della sua primissima Costituzione, aveva già stabilito questa
parità, ma non la parità assoluta. Diciamo che nel mondo arabo questo è un segnale
fortissimo. Però il punto fondamentale rimane questo: quanto e come l’Islam debba
essere la radice del diritto. È su quello che c’è lo scontro più profondo. La cosa
interessante del caso tunisino è che non essendoci un esercito potente come quello
che c’è in Egitto - che ha dimissionato il presidente eletto Morsi – chi si fa carico
della mediazione politica tra l’opposizione laica e l’universo islamista è la centrale
sindacale – l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini – che è quella che ha dato il
via alla "Primavera dei gelsomini", che tutt’oggi gioca un ruolo politico molto importante.