2014-01-10 07:05:19

Yemen in stallo. Camille Eid: "La via della pacificazione è ancora lontana"


Dallo Yemen, si susseguono notizie di attentati e scontri tra esercito e miliziani di al Qaeda e altri movimenti separatisti e tra gruppi sciiti e sunniti. Una crisi quasi dimenticata dopo i giorni della "primavera araba", che hanno evidenziato le contraddizioni di questo Paese, il più povero dell’area mediorientale, che – unificato solo nel 1990 – oggi è alla ricerca di una identità federale. Roberta Gisotti ha intervistato Camille Eid, giornalista e scrittore, esperto del mondo arabo:RealAudioMP3

D. - A quasi tre anni dalla caduta del governo dell’ex presidente Saleh, a che punto sono i lavori della Conferenza per il dialogo nazionale?

R. – Siamo un po’ in ritardo rispetto al programma prestabilito. Questa Conferenza, tenuta sotto l’egida dell’Onu, avrebbe dovuto già concludersi da tempo. In effetti, adesso sono arrivati alla risoluzione di uno dei nove o dieci punti sul tavolo. E’ un punto importante, quello dell’unità del Paese, della "questione meridionale", come viene definita. Però, rimangono aperti altri problemi importanti, tra cui il conflitto in atto nella provincia di Saada, nel nord, tra la ribellione Houthi – come viene definita – e alcuni gruppi salafiti. Oppure, la minaccia di al Qaeda. Come sappiamo, gli americani combattono una guerra "invisibile" nello Yemen, già da anni, con gli aerei droni, causando anche diverse vittime tra i civili yemeniti. Quindi, ci sono diversi altri punti in sospeso e si spera che questa Conferenza di dialogo nazionale, dopo aver risolto il primo punto essenziale, vada avanti a risolvere gli altri problemi.

D. – In questa situazione di empasse, a soffrire di più è la popolazione. Metà dei cittadini soffre la fame e la sete…

R. – Questo è vero. In effetti, fa anche eccezione, lo Yemen, nel quadro della penisola arabica, perché vediamo che tutti gli altri Paesi – le monarchie, che sono sei – sono riuniti nel Consiglio di cooperazione del Golfo, da cui è stato escluso proprio lo Yemen, essendo in primo luogo un Paese non petrolifero, in secondo un Paese povero e in terzo una Repubblica, a differenza degli altri, che sono monarchie.

D. – Questo, naturalmente, rende più difficile risolvere la crisi perché forse ci sono meno interessi in gioco…

R. – Rende più difficile più che altro perché le istituzioni statali nello Yemen storicamente non sono mai state forti: prevalgono gli interessi tribali, del clan… E’ vero che ci sono dei partiti, talvolta anche partiti storici: basti pensare al Partito del Congresso popolare, nel nord dello Yemen, o al Partito socialista nel sud. Però, questi partiti alla fine hanno interessi molto ristretti, personali: è difficile, quindi, vedere dove finiscano gli interessi personali e dove inizino, invece, gli interessi dello Stato e questo rende molto più complicata la soluzione dei problemi. E, vediamo che lo Stato – laddove interviene – fa o svolge il ruolo di mediatore. Ma lo Stato non può fare da mediatore tra i suoi cittadini, dev’essere casomai l’arbitro della situazione: non intervenire per portare le diverse parti, che giocano al di fuori dello Stato, alla tregua.

D. – Un Paese, lo Yemen, che meriterebbe più attenzione da parte della comunità internazionale?

R. – Sì. Merita di più, però sappiamo che adesso la comunità internazionale è presa in particolare dalla Siria o da problemi più gravi o più sentiti a livello mediatico. Lo Yemen interessa relativamente, soprattutto per la sua posizione strategica. Gli interessi riguardano la presenza di al Qaeda sul suo territorio e lì c’è già un intervento militare, quello americano. Ma a livello di comunità internazionale e Onu, interessa relativamente poco, pur sapendo che questa Conferenza si gioca sotto l’egida dell’Onu in base a due risoluzioni che intendono accompagnare il popolo yemenita a costituire uno Stato di diritto. Ma siamo ancora all’inizio della strada, purtroppo.







All the contents on this site are copyrighted ©.